Vaccinato a tutto, ma a questo..

Roberto Beccantini6 August 2021

Vaccinato a tutto, sì, ma non a questo, non a «questi». Dopo l’alto di Tamberi e i 100 di Jacobs, la marcia di (famolo) Stano e della Palmisano, fuochi di Puglia, persino la 4×100. Noi, le cui squadre dal basket (con molto onore) al volley (con molto meno) erano cadute. Salvati dal quartetto del ciclismo di Ganna and friends e dalla staffetta veloce. Lorenzo Patta, sardo dell’Oristano che brucia. Lo Jacobs di cui sempre (da domenica 1° agosto), nato nel Texas e battezzato, come ha scritto Giancarlo Dotto, nelle acque del Garda. Eseosa Fostine Desalu detto Fausto, di Casalmaggiore, provincia di Cremona, e sangue di Nigeria. Filippo Tortu, lombardo di origini sarde (che, dicono, sarebbe un duecentista eccezionale). La storia sono loro, sono d’oro: 37″50 davanti a Gran Bretagna e Canada.

Un’altra giornata mitica e mistica, alzi la mano colui che, fra noi testimoni, non avrebbe voluto essere «il» testimone, quel candelotto lì, per raccontare più da vicino e più dal di dentro i passaggi dalla cronaca alla storia e dalla storia alla leggenda (per i nostri canoni, almeno), con la volata e la rimonta di Tortu nell’ultima, spasmodica, frazione. Noi, testimoni di un testimone.

Era dai Giochi del ‘48, a Londra, che la nostra 4×100 non saliva sul podio (bronzo): Michele Tito, Enrico Perucconi, Carlo Monti, papà di Fabio, Antonio Siddi. Si veniva da una guerra: e che guerra. Anche questa volta si veniva da una guerra: al Covid, più subdola e non meno mondiale dell’altra. Anzi. E così, dall’Europa del calcio alla Tokyo dell’atletica e non solo (ma dell’atletica, soprattutto) l’eresia del sogno e il sogno dell’eresia continuano.

Può essere che la pandemia, decolonizzando il sudore, abbia cementato l’orgoglio nazionale. Di sicuro, suicidandosi nei cambi, gli Usa e getta ci avevano dato una mano. Ma tutti potevano essere lì, dove c’erano, invece, i nostri ragazzi. Cittadini del mondo.

Tu chiamale, se vuoi, erezioni

Roberto Beccantini1 August 2021

Tu chiamale, se vuoi, erezioni. Quei dieci minuti, fra l’alto di Gianmarco Tamberi e i 100 di Lamont Marcell Jacobs, e già nei nomi c’è il segno di un’Italia mista, aperta; quei dieci minuti, dicevo, non ci chiederanno mai dove eravamo, ma se c’eravamo. Due ori nell’atletica, che regina dei Giochi lo è davvero, e non banalmente per gioco, non li si vinceva da Atene 2004: Ivano Brugnetti nei 20 chilometri di marcia, il primo giorno dell’atletica; Stefano Baldini nella maratona, l’ultimo.

L’adrenalina scorre a damigiane e chissà quando si ridurrà a goccia. Tamberi è un allegro casinista di Civitanova Marche, corregionale di Roberto Mancini. Il destino cinico e baro gli negò Rio 2016. Ha portato con sé il calco di gesso, con su scritto «Road to Tokyo 2021». Marcell è nato a El Paso, Texas, e vive con la madre a Desenzano, sul lago di Garda. Non parla inglese, è un mito mite, figlio di genitori separati e già padre, a 26 anni e mezzo, di tre figli. Come dire: un sacco di vite in una.

Gimbo di anni ne ha 29 e ha condiviso i 2,37 del podio con il qatariota Mutaz Essa Barshim. Ha aspettato Marcell, per abbracciarlo. Marcell ha corso in 9″80, nuovo record europeo: record che già in semifinale aveva portato a 9″84. Lui, bipede di volontà francescana, succede a un extraterrestre: Usain Bolt (con lo stesso tempo del suo ultimo sprint). Mai, nella storia, un italiano aveva corso la finale dei 100 metri a un’Olimpiade. Mai.

Non ho i titoli per raccontarvi, tecnicamente, i due campioni. Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio m’inchino, commosso, a una doppietta troppo grande per il mio vocabolario. Gianmarco, Marcell: ricorderò sempre domenica 1° agosto 2021, perché «saltai» il protocollo e «corsi» al pc. Per voi. Per le vostre imprese. E grazie, soprattutto, per aver dato un senso all’enfasi, all’incenso che, spesso, mi scivolano dai tasti.

Italia ombelico d’Europa

Roberto Beccantini12 July 2021

Nando Martellini avrebbe scandito: campioni d’Europa, campioni d’Europa. Lo è l’Italia per la seconda volta, alla grande, dopo aver rimontato e domato l’Inghilterra, dal lampo di Shaw alla zampata di Bonucci. I rigori, again. Non ha deciso Jorginho, questa volta. Donnarumma: è stato lui, l’eroe. Due parate, su Sancho e Bukayo Saka. Erano entrati, con Rashford, per dare una mano dal dischetto: 0 su 3, come non detto.

Con la Spagna, avrebbero meritato loro. A Wembley no, la nazionale era in largo credito con la trama, con lo spirito e con le occasioni, ma sì, per avare che fossero state. Chi scrive, l’aveva collocata tra i quarti e le semifinali. E’ andata al di là di tutto, e di molti. In cima, Roberto Mancini. Non aveva una rosa eccelsa, l’ha difesa, l’ha selezionata, l’ha migliorata: chapeau.

Non dei marziani, questo no, ma dei giocatori con le palle, sempre. Nei periodi in cui la superiorità di giornata avrebbe potuto spingerli a titillare il destino. E, soprattutto, nei momenti in cui bisognava pedalare e soffrire: a ruota del Belgio, dietro alla Spagna.

Una squadra nel senso vero e più «normale» della parola. Tutti per tutti, tutto per tutti. Dai Locatelli e dai Berardi di Roma al Chiesa debordante delle partite secche alla old firm, i rostri e le cicatrici di Bonucci e capitan Chiellini, passando attraverso le geometrie di Jorginho, i blitz di Barella, i ricami di Verratti. Magari ci si aspettava di più dai centravanti, Immobile o Belotti, ma il gruppo – la sua anima, la sua forza – ha coperto i limiti, ha liberato le forze.

Mai vista, in uno stadio che gronda leggenda come Wembley, l’Inghilterra così chiusa a catenaccio e l’Italia di tante vignette (e di «troppo» Lineker) così spavalda da palleggiarle in faccia. Si sono presi, gli uomini di quel fifone di Southgate, solo il primo quarto d’ora e i supplementari. Pochi spiccioli.


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