Boniperti, per sempre

Roberto Beccantini18 June 2021

Difficile, di fronte a questa notizia, restare neutrali. E forse sarebbe anche sbagliato. Giampiero Boniperti se n’è andato sul filo dei 93 anni, li avrebbe compiuti il 4 luglio. E’ stato giocatore e presidente della Juventus, è stato la Juventus. A suo modo, nel suo periodo, con quel carattere ispido, con quello slogan «Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta», che ne diventò il manifesto e la cella. L’aveva rubacchiato a Vince Lombardi, guru del football americano, ammesso che fosse davvero suo.

Arrivò alla Juventus nel 1946, lo buttarono subito in campo e subito segnò sette gol. Carlin Bergoglio, su «Tuttosport», scrisse: «E’ nato un settimino». La memoria che decora il dirigente non può lasciare indietro il centravanti che fu, capace di laurearsi capocannoniere davanti a Valentino Mazzola. Ripeto: Valentino Mazzola. Il capitano del Grande Torino.

Abile, elettrico, tecnico, rapace. Simbolo della Juventus, dunque degli Agnelli, dunque del potere. Memorabili i duelli e i duetti con Benito Lorenzi, detto veleno, centravanti dell’Inter. «Giampiero, vuoi arbitrare tu?». Quante volte. E poi, al primo fuori onda, ciao Marisa, ciao Veleno. Marisa, perché (versione di Lorenzi) era così biondo, riccioluto ed elegante, o perché (versione bonipertiana), c’era di mezzo Miss Piemonte – Marisa, appunto – con la quale era entrato in campo a Novara, per un’amichevole («Una vita a testa alta», Enrica Speroni).

Poi, con l’arrivo di John Charles e Omar Sivori, arretrò a metà campo, persino all’ala. Mollò il nove, si rifugiò (anche) nel sette, ma che trio, quel trio. Non che amasse Omar, ma ne rispettava il genio ribelle. Vinse e rivinse, arrivò a timbrare una doppietta a Wembley, addirittura, in un’Inghilterra-Resto d’Europa
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L’emozione della favola, poi l’orco

Roberto Beccantini18 June 2021

Tutti in piedi a Copenaghen. E tutti fermi, al 10’, per Christian Eriksen e il suo cuore matto. Applausi. Cori. Striscioni. Grande atmosfera, grandissima emozione. Poi il cuore della Danimarca. Per un tempo, spazza via il Belgio. Gol di Poulsen (6,5), Mahele devastante (7) e Kjaer (6), capitano mio capitano, a braccare un Lukaku (6,5) visibilmente frastornato. Mertens (5), Carrasco (5): come se la trama non li riguardasse. E che sbandamenti, in difesa.

A questo punto, Martinez ha tolto Mertens, proprio lui, e inserito Kevin De Bruyne, che aveva saltato la Russia per via del frontale con Rudiger, in City-Chelsea di Champions. La mossa, più che alla Nasa di pochi, appartiene al naso di molti. Perché, voi cosa avreste fatto? Ecco: comincia un’altra partita. La partita di De Bruyne (8), assist per Thorgan Hazard (7), fratellino di Eden (6), e gol del sorpasso. Nel primo caso, cruciali l’erroraccio di Vestergaard (5) e la galoppata di Lukaku; nel secondo, splendido ricamo della famiglia Hazard e non meno efficace sinistro di colui che Guardiola (8) ha trasformato in una sorta di fabbrica del centrocampo. I danesi avrebbero meritato di più: penso alla traversa scheggiata da Braithwaite (7) e alle iniziative di Damsgaard (6,5), tuffo a parte. Non è proprio il loro momento.

Amsterdam, Olanda-Austria 2-0. Con il rientro di De Ligt (6,5), la difesa e De Vrij (6,5) stuccano le crepe del battesimo. Gli avversari, loro, sono invitati che cercano di farsi notare senza dare fastidio. Alaba (6) combina la frittata del rigore varista, trasformato da Depay (7). Sempre Depay spalanca, di tacco, il contropiede alla volata di Malen (6) e al raddoppio di Dumfries (6,5). In regia, de Jong (7) è sempre un bel panorama; e De Roon (6),
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L’Italia di tutti

Roberto Beccantini16 June 2021

Da Spinazzola a Locatelli, è l’Italia di tutti. Spinazzola aveva tagliato la Turchia, Locatelli (9) ha demolito la Svizzera. E occhio: 3-0, 3-0. Sempre all’Olimpico, d’accordo, ma sempre sprigionando fiamme, anche nelle fasi di gestione. Manuel Locatelli, dunque: ha 23 anni, gioca nel Sassuolo. Come Berardi (7), colui che aveva invitato al ballo con un sinistro tranciante e tottiano, da metà campo all’ala, e che gli ha poi restituito il favore smarcandolo davanti a Sommer. E quindi il raddoppio, nella ripresa, con un sinistro dal limite, su servizio di Barella (7), noia chi molla.

Difficile restare freddi di fronte a una squadra così calda: non perfetta o imbattibile, per carità, ma che Mancini, l’artefice, vuole sempre sul pezzo, generosa e possibilmente raffinata, chiunque sia l’avversario. E’ la decima vittoria di fila e siamo già negli ottavi. Petkovic, vecchia volpe, le aveva tentate tutte, ma Embolo (5) è stato disarmato in fretta e il tran-tran di Xhaka (6) e Freuler (5,5) non ha alzato che polvere, raramente da sparo. Shaqiri (5) avrebbe dovuto occuparsi di Jorginho (7), che del porto azzurro è il faro. L’infortunio di Chiellini (sv) e l’ingresso di Acerbi (6) non hanno scombussolato i piani. E Spinazzola (6,5), per una sera, ha accompagnato la fascia, lui che, quando gira, la divora.

Le guardie svizzere si sono rivelate un po’ più toste dei turchi catenacciari, e al 65’, con Zuber, hanno persino costretto Donnarumma (7) alla prima, vera, parata del torneo, non solo della gara. Bisogna saper soffrire, per far soffrire, e così è bastato richiamare Berardi e inserire Toloi (sv) e passare a tre in difesa (che non è reato) per disegnare contropiedi letali, anche grazie alla velocità di Chiesa, subentrato a un Insigne più solfeggio che acuti (6). Immobile (6,5) se ne è mangiati un paio
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