Ghigliottina Real

Roberto Beccantini13 March 2025

Dicono che la storia si ripeta sempre due volte: la prima in tragedia (San Siro, 2016) e la seconda in farsa. Chi lo racconta al Cholo? Dai 32 secondi di Gallagher ai «due tocchi» varisti di Julian Alvarez, alla traversa di Llorente e alla quasi parata di Oblak su Rudiger. I rigori, ancora e sempre loro, questi sgherri tribali e fatali ai quali il calcio ha affidato, in caso di pareggio a oltranza, l’estasi dei vincitori e il tormento dei vinti.

Real, dunque. E, quindi, Ancelotti. Al Bernabeu era finita 2-1; al Metropolitano, 1-0. Gallagher subito, su palla radente di De Paul (quantità preziosa), e poi una lunga partita a sacchi, con i Re bianchi gigioneggianti e incapaci di forzare il muro dell’Atletico. Sia chiaro: un muro mobile, Griezmann a distribuire le munizioni, Gallagher a pompare e Alvarez, ignaro dell’epilogo che gli avrebbe riservato il destino, a tirare. Palle-gol, no. Ma di Oblak non ricordo parate; di Courtois, sì.

Strana, molto strana, la castità balistica del Real. Mai un lampo, neppure sul penalty che Mbappé, al 70’, conquistava alla Mbappé, sterzata, contro-sterzata e Lenglet penzolante dalla camiseta. Fossimo stati a Cape Canaveral, avrebbero tutti applaudito il missile di Vinicius. Ma eravamo in uno stadio.

Vinicius, già. Disarmato e disarmante, come e più di Rodrygo. Di Mbappé, quell’azione lì e il resto, fuffa. Della «triade», il meno vago è stato Bellingham, tenore e corista in base alle esigenze (tante, troppe). Meritavano di più, i reticolati e le imboscate dell’Atletico. Ma il Real è il Real. Carletto aveva puntato sui 39 anni di Modric, poi escluso (come Vinicius). Le forze, stremate, hanno orientato le staffette e le cadenze. Il torello dei detentori, su «procura» dei rivali, toccava il 62%, senza però allontanare gli sbadigli. Sino alla ghigliottina del dischetto. Che non guarda in faccia nessuno. Se mai, ti controlla i piedi.

Anfield-Elysées

Roberto Beccantini12 March 2025

Cameriere, Can-Can. Dallo 0-1 del Parco (Elliott all’87’) allo 0-1 di Anfield (Dembélé al 12’) il Paris Saint-Qatar – l’ex harem di Mbappé, ricordate? – elimina il Liverpool ai rigori e si qualifica in bellezza per i quarti di Champions. Nessun dubbio che, fra andata e ritorno, meglio abbia giocato e, dunque, più abbia corteggiato il destino, ammesso che esista. Il bottiglione di champagne l’ha stappato Gigio Donnarumma, in versione Wembley, ma onore e gloria a Luis Enrique, allenatore vertical, facitore di giovani e calcio rock and ball.

Che rumba, pure a Liverpool. Non però a senso unico come mercoledì scorso. Un tamponamento tra Konaté e Alisson, che ne fu l’eroe indiscusso, spalanca la porta a Dembélé-Dembappé. I ritmi sono folli, pressing contro pressing, Salah (da 5 in pagella) se ne mangia un paio, Kvara pennella (e agli sgoccioli sarà anche valoroso terzino). I Reds arrembano a testa bassa, la bava ai tacchetti, baionette di qua, baionette di là, tackle selvaggi, con Donnarumma sugli scudi non meno del suo collega. E di Marquinhos. E di Vitinha.

Costrettovi, il Paris si difende: che discorsi. Siamo ad Anfield. Mica alla convenzione di Ginevra. Appena può, sventaglia il contropiede che, per un tempo, crea non lievi triboli a Van Dijk e c. Nella ripresa, la Slot-machine moltiplica le folate, entra una torre (Darwin Nunez), ma il Faraone e Luis Diaz non trovano pertugi. E a Dembélé nei supplementari, dominati dai francesi, li nega Alisson: e chi, se no? Ribadisco: il tie-break del dischetto bacia i più bravi (globalmente), non solo i più freddi. Li premia attraverso la mira di Vitinha,
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Via sull’onta. Ma che Dea!

Roberto Beccantini9 March 2025

Cinque vittorie di fila, la miglior difesa, le edicole che blateravano di scudetto. Poi arriva la Dea che, fra parentesi, allo Stadium non perde dal 14 marzo 2018: zero a quattro. E il migliore è stato il portiere, Di Gregorio. Mentre gli opliti del Gasp, tutti dall’otto in su salvo Carnesecchi, impegnato solo agli sgoccioli del massacro. Un trionfo, l’Atalanta. Una lezione di personalità, di gioco, di gambe. E una trama lontana, lontanissima dall’1-1 dell’andata, ordalia che offrì una delle Juventus più piene.

Il mani-comio di McKennie, al 28’, e il rigore trasformato da Retegui hanno spaccato equilibri già fragili. In trasferta è «diversa», la Dea. Si sapeva. In casa, come documentano gli 0-0 con Cagliari e Venezia, soffre i muri. In viaggio, ne trova di meno. O trova «questa» Juventus. E così va via di forza, di slancio. Assorbe e riparte. Gasp si gioca subito Cuadrado: bella idea. Thiago, Nico a sinisra e Yildiz (menomato da un virus, ho letto) a destra: bruttissime idee. Ogni palla persa, le terga offerte agli avversari. Che ringhiano, che azzannano, che mordono.

Tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo succede di tutto: palo di Lookman, doppio miracolo di Di Gregorio su Lookman e Zappacosta. Quindi lo sgorbio di Kelly, l’ennesimo tuffo di Di Gregorio su Lookman e la randellata di capitan De Roon. Era entrato Koop, era uscita – da un pezzo – Madama. Fischiata e abbandonata. Fumo negli occhi, i cambi di Motta: Kolasinac, col tacco 12, smarca Zappacosta. E da un grottesco patatrac di Vlahovic sgorga il poker di Lookman. Ineluttabile sì, ma persino ovvio, naturale.

La classifica recita: Inter 61, Napoli 60, Atalanta 58. E domenica sera, Atalanta-Inter. Madama, in compenso, andrà a Firenze, abbarbicata a un quarto posto che molto scricchiola. Li avevamo tanto illusi, per un’estate e forse più. Anno zero (a 4).