Un Genoa all’improvviso (mica tanto)

Roberto Beccantini27 November 2016

Un Genoa all’improvviso. Ma a essere sinceri, mica tanto all’improvviso. Sarebbe bastato leggere certe vittorie con la testa e non con la pancia. Scacco matto di Siviglia compreso. Il Genoa di Juric e l’Atalanta di Gasperini sono le squadre che non corrono di più: corrono meglio. Non sempre le due cose coincidono. In meno di mezz’ora il Grifo ha spazzato via la capolista: doppietta del Cholito Simeone, autogol di Al’ex Sandro. Uno spettacolo, degno dello spirito inglese che Marassi diffonde.

Allegri, lui, aveva toppato formazione: Danis Alves nella difesa a tre, Cuadrado punta (e spesso a litigare con Mandzukic). E quel centrocampo lì, da Hernanes a Pjanic, polpa ideale per le zanne del pressing avversario. Un solo prosciolto: Buffon.

La prima mezz’ora di Genoa-Juventus mi ha ricordato l’ultima di Fiorentina-Juventus da 0-2 a 4-2, all’epoca di Conte. Una squadra non entrata in campo (oggi), una squadra uscita dal campo (allora). Nel tacco di Bonucci che propizia l’azione dell’1-0 c’è il riassunto dell’ordalia: Bonucci, il migliore in Andalusia.

Sarebbe capzioso e ingeneroso parlare di assenti: anche Juric aveva i suoi, a cominciare da Pavoletti. Il rigore negato a Mandzukic (41’) è pagliuzza, non trave. Terza sconfitta in campionato e della stagione, la prima per k.o. Non una sentenza, per carità: ma un segnale, sì. Qualcuno, sedotto dai titoli dei giornali, aveva gonfiato il petto. Ci hanno pensato Simeone e Ocampos, Rigoni e Lazovic, con i loro chiodi, a bucarglielo.

Altri due «caduti» (Bonucci, Dani Alves) e la punizione di Pjanic come titolo di coda. Troppo tardi. Troppo poco. Una grande squadra che sa sopravvivere ai propri limiti, avevo scritto della Juventus. Il Genoa ha rovesciato il concetto: grandi limiti che sanno sopravvivere a una grande squadra.

Testa o croce (il gioco, il resto): sabato c’è Juventus-Atalanta, lo sapremo.

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Anestesia totale

Roberto Beccantini23 November 2016

Il paradosso è che, per passare, al Napoli basta un pareggio, solo che dovrà conquistarlo a Lisbona, mentre alla Juventus, già qualificata, per essere prima basterà regolare la Dinamo in casa.

Un’altra Dinamo, parente «larga» di quella che negli anni Ottanta scortò l’evoluzione del calcio agli ordini del colonnello Lobanovsky – schemi, schemi, schemi, un Ajax in laboratorio – ha strappato un pareggio fischiatissimo ai pochi che, al San Paolo, non erano crollati. Era da tempo che non vedevo un Napoli così molle, così sgonfio, così spento. Come se il 3-3 di Istanbul lo avesse smontato, e Sarri l’ha ammesso: sì, ci ha smontato. Un’aggravante, non un’attenuante. Contenti loro.

Sarri non ha la rosa di Allegri, e non ha neppure quel centravanti che – sparito Higuain e infortunato Milik – sta cercando, con poca convinzione, in Gabbiadini. Per rifornire la banda Bassotti servono velocità di gambe e rapidità di pensiero, virtù che nessuno, nemmeno Hamsik, è stato in grado di fornire.

I fuorigioco di Insigne erano un segnale sinistro, come quel pressing randagio e molto vago, portato non più per scelta condivisa ma per disciplina aziendale. Tocca al tecnico riaccendere le luci di una squadra che, la scorsa stagione, brillava come un Luna park. Gli ucraini si sono limitati a un «gioco corto» di noioso spaccio: avessero osato di più, chissà.

La Juventus è una grande squadra che sa sopravvivere ai suoi limiti, il Napoli non ha alternative: o impone il suo gioco o sono torpori, sono dolori.

In Champions, il Napoli aveva cominciato alla grande: 2-1 a Kiev, 4-2 al Benfica. Dopodiché, ha cambiato passo: 2-3 e 1-1 con il Besiktas, 0-0 con la Dinamo. Manca un punto, uno solo. Ma il vero «punto» è un altro: dov’è finito il calcio libero di Sarri?

Il forziere di Siviglia

Roberto Beccantini22 November 2016

Mi gioco subito l’aiuto del pubblico: c’era il doppio giallo su Vazquez, c’era il rigore su Bonucci, c’era l’espulsione del tarantolato Sampaoli. Un solo errore, Clattenburg: la piccola indulgenza a Cuadrado con iellatissimo effetto domino (il primo giallo del «Mudo»). Per un tifoso juventino di Ottawa, l’arbitro è stato «coraggioso». Per un altro, del Tavoliere, «severo».

Passo adesso alla telefonata a casa: a Lione, nonostante un rigore contro e un uomo in meno (Lemina: dal secondo tempo, però), la Juventus aveva vinto. Comunque. Non solo: il fallo «su» Bonucci ricordava il fallo «di» Bonucci.

Chiudo con il cinquanta-cinquanta: il Siviglia è una grande squadra, come documentano il terzo posto in campionato e le tre Europa League di fila, e il tarantolato Sampaoli un grande tecnico. Ad Allegri mancavano fior di titolari, da Higuain a Dybala. Ho dimenticato qualcosa?

La Juventus, adesso. Già promossa agli ottavi e leader del girone, addirittura. Non le resta che la Dinamo, in casa. I numeri sono un inno, il gioco non ancora. Sorpresa in avvio (bello il tiro di Pareja, coperto e in ritardo Buffon), dopo due minuti di pressing alto, diconsi due, e poi ciondolante dalla finestra fino al semaforo rosso di Vazquez e agli undici metri di Marchisio.

Il Siviglia, che a Torino scese senza punte, ha fatto massa. Qualcuno spaccerà per 4-3-3 il catenaccione mobile della Signora: a me sembrava, sinceramente, un 4-5-1. Pochi tiri, rari brividi, lo stadio tipo plaza de toros, con Clattenburg inviso torero. I gol di Bonucci, infinito, e Mandzukic, sfinito, hanno fissato un risultato troppo obeso. Cito di striscio la montagna di errori nei passaggi e le incredibili doglie sul 2-1. Sorsi di Kean, una gran fame di calcio e, al termine, tutti al bar a ordinare «la classifica, prego».