Quei guanti, quel destro

Roberto Beccantini18 October 2016

La Bbbc, ancora: ma l’acronimo, questa volta, sta per Buffon, Buffon, Buffon, Cuadrado. Le tre paratone dell’improvvisamente più discusso portiere d’Italia (anche da parte mia, sia chiaro) e un gioiello di balistica del colombiano sfuggito ai radar di Lopes hanno sabotato la trama. E così, in dieci, la Juventus ha vinto a Lione, dimostrando una maturità che le tabelle davano per scontata (i francesi, ottavi in campionato; i bianconeri, primi).

E’ stata, la squadra di Allegri, più forte addirittura delle sue stesse sciocchezze (la copula di Bonucci, l’irruenza di Lemina), ma anche di un metro arbitrale non molto equilibrato: penso al solito kamasutra Bonucci-Diakhaby (ma rovesciato) e alla reazione di Darder. Buon segno: in Europa, soprattutto.

Paradossalmente, gli interventi più complicati Buffon – sempre a 38 anni, per la cronaca – li ha compiuti su Fekir e Tolisso. Meno contorto, il penalty: parato bene ma tirato male (da Lacazette). Paradossalmente, ancora, la Juventus ha giocato con più ordine in dieci. Quei ritmi così lenti e rococò che, nel primo tempo, avevano agevolato il catenaccio del Lione, alla ripresa hanno dato una spinta alla resistenza juventina, giustificando persino quei tre difensori che, in parità numerica, sembravano un freno a mano.

Il problema era lì, a centro campo, dove il gioco nasce come un fiore e, se non lo annaffi, declina fino a morire. Non sono mancate le occasioni (la più grossa, «murata» da Khedira a Bonucci), non è mancato il possesso palla, anche perché, sotto sotto, era quello che volevano i francesi. Sono mancate, in compenso, la velocità di pensiero e il gioco senza palla.

L’espulsione di Lemina, l’uscita di Dybala e l’ingresso di Cuadrado hanno dato fuoco alle polveri di una partita strana, orfana della vena di Pjanic e Dani Alves, attraversata dallo zaino di Higuain in versione sherpa. Fino a quei guanti e a quel destro.

La D 2

Roberto Beccantini15 October 2016

Edin Dzeko a Napoli, Paulo Dybala allo Stadium. Sono stati loro a trascinare la Roma e a rianimare la Juventus. Un centravanti discusso e discutibile finché volete. Ma un centravanti. Quello che non ha più Sarri: dopo Higuain e dopo Milik. E il piccolo argentino di «sinistra» (e sivoriana) memoria. A volte Aladino, a volte la sua lampada.

In trasferta, Spalletti le aveva prese a Firenze e con il Toro. «Salah tempora currunt», verrebbe da dire: lo scippo a Koulibaly sull’1-0, la firma sul 3-1. Con Totti in panchina. Mi ha dato l’impressione, il Napoli, di non credere in Gabbiadini. Due sconfitte consecutive, e la prima casalinga dell’era Sarri. Sulla giostra delle anti-Juventus si accomoda , così, la Roma.

Nel passare dal diletto 3-5-2 al più prosperoso 4-4-2, la Juventus sembrava un plotoncino di boy scouts smarrito nella selva. E questo, già prima della frittata della coppia Hernanes-Buffon. Di piede o di pancia, non è un gran momento per Gigi, anche se poi, di mano e di palo, si è di nuovo arrampicato sul risultato.

Dicevo del modulo. Allegri aveva girato con il mestolo la pentola del turnover. Ma quell’Alex Sandro lì – né terzino né mezz’ala né ala – era un non senso. Le soste, si sa, portano ruggini che sono misteri e misteri che sono zavorre. Delneri era al debutto. Complimenti: la sua Udinese se l’è giocata fino alla fine; il movimento di de Paul, Jankto, Fofana e Théréau limava i riferimenti all’impulsivo Lemina e al pensieroso Hernanes. Non aveva ampiezza, la manovra. C’era Mandzukic, non Higuain.

Ci ha pensato Dybala a tenere su la baracca. Con una punizione-pennello e un rigore-bisturi, il primo in campionato. Allegri aveva corretto lo schema (3-4-3) e raccolto qualche frutto dal «nuovo» Alex Sandro. Ma quel cambio Dybala-Sturaro, mamma mia, quel cambio. E’ andata, e allora cin cin: ma se non fosse andata?

Dall’asilo alla caserma

Roberto Beccantini2 October 2016

Dalla cena nell’asilo di Zagabria al pranzo presso la caserma di Empoli, questo avevo scritto dopo il primo tempo: «Gli spacciatori di palle-gol cercheranno di vendervene un sacco. Non fidatevi. Sono state due, entrambe propiziate da Pjanic: la prima sprecata da Khedira (traversa), la seconda da Cuadrado (bravo Skorupski). Poi, è chiaro, la differenza dei valori era palese, come manifesto era il disegno di Martusciello, difendersi e ripartire, e altrettanto limpido il piano di Allegri, ingozzare l’avversario di titic-titoc, ora sul centro ora sulle ali.

I sentieri che portavano a Higuain e Dybala erano intasati e, dunque, le notizie sulla coppia rare, e quasi sempre relative a gesti isolati, di pura tecnica e non di condiviso schema. All’Empoli, che l’Inter di Icardi cucinò in una ventina di minuti, mancava mezza difesa. Non proprio un dettaglio marginale».

Questo avevo scritto. Non lo cancello neppure dopo l’abbuffata. Non so quanto abbia influito il cambio di Khedira, così isterico da buttar via scarpe e bottiglie. Oh Dio, se penso al gol che si era mangiato. Lemina ha portato freschezza, e una diversa quantità. L’Empoli si è aggrappato alle corde. L’ultimo miracolo Skorupski l’ha compiuto sul Pipita. Dopodiché, sparo di Dybala e doppietta di Higuain, non senza la complicità (sul secondo) di uno Zambelli versione Viviano. Dybala, Higuain: proprio loro, quelli di cui avevo perso le tracce.

Tra i migliori, Cuadrado (uno schema, non una semplice pedina) e Pjanic. Hernanes continua a essere un talismano. All’Empoli urge il miglior Saponara. Le vendemmie di Sarri e Giampaolo sembrano lontane, ma mai dire mai. Vi risparmio i commenti dei miei pazienti sul primo tempo della Juventus e sulle scelte di Allegri. E vi lascio immaginare in quanti si tifasse per i nervi di Khedira. Poi…

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