C’era cascato il Milan, tra una papera (di Maignan) e un rosso (a Theo), non c’è cascata l’Inter. Figuriamoci: due a zero e salutoni dalla «Vasca». Fresco ma incerottato, il Feyenoord di Van Persie, terzo mister della stagione, non rimanda certo all’Elogio della follia di Erasmo, ma tant’è. La Champions non tollera montagne russe, e meno che meno distrazioni. Inzaghino aveva mescolato le carte, non il modulo. In assenza di esterni mancini, ecco Bastoni. Poi Zielinski e Asllani, con Calhanoglu e Mkhitaryan in panca.
Per vincere qualcosa, ammoniva mastro Lippi, bisogna cercare di vincere tutto. Parole sante. E fachiresche. L’1-1 del Maradona aveva lanciato in orbita Sputnik sinistri, legati alle ricorrenti flessioni. Non è stata una partita da rime baciate, anzi, per una mezz’oretta meglio i batavi, poi, d’improvviso, la scossa. Discesa di Dumfries, cross di Barella, zampata di Thuram, sul quale, fin lì, ci si interrogava: quando tornerà al top?
Il calcio è questo. A volte, bisogna sostituire lo smoking con i jeans, calarsi nei vicoli della realtà e regolarsi di conseguenza. Con le idi di marzo incombenti, e gli obiettivi tutti ancora febbrilmente in palio, il risultato diventa dittatore. Tolto dalla fascia Paixão, che da ala aveva bullizzato il Diavolo, è parso l’inquilino qualunque di un casermone di periferia.
La mediocrità del contesto e la parsimonia delle cadenze hanno permesso ad Acerbi e De Vrij di tenere sotto controllo la situazione, compresi gli attimi di turbolenza, invero rari. La schioppettata di Lautaro, su munizione fornita da Zielinski, liquidava la pratica in avvio di ripresa, rendendo marginale il rigore varista parato al polacco.
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