Inter, naturalmente. Toccherà a lei – il 10 giugno, giorno di «decisioni irrevocabili» – contendere la 68a. edizione della Coppa dei Campioni/Champions League al Manchester City del Pep o al Real di Carletto. Alla sesta finale, dopo tre hurrà : i due di Herrera (1964, 1965) e l’ultimo, firmato Mourinho, nel 2010. L’anno del triplete. Con un allenatore italiano e italianista, Simone Inzaghi detto Inzaghino, alla guida.
C’è stato poco derby anche stavolta. La propaganda aveva battuto la grancassa, ma poi si va in campo e gli strilloni risalgono in bici. Si gioca. Servono squilli, non frilli. L’Inter era già più forte in estate: oggi, non ne parliamo. Altro passo, altra cilindrata. Ha deciso Lau-Toro, in mischia, su invito «trafficato» di un Lukaku che aveva appena sostituito Dzeko. Sul quale, nel primo tempo, Maignan si era superato. Non sul rasoio improvviso dell’argentino. Capita. Nessuno è perfetto.
Il Milan ha fatto quel che poteva; l’Inter, quel che doveva. E’ stata, l’ordalia, un italico cozzo di scudi e ferraglie, con il 2-0 dell’andata
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