Era d’estate, tanto tempo fa…

Roberto Beccantini20 February 2025

Le zolle che battezzarono la prima Europa di Ronaldo il Fenomeno, segnano il funerale della Juventus: dal 3-1 di settembre e il 2-1 dell’andata al 3-1 «supplementare» di un verdetto senza se e senza ma. E così, edicole in lutto: ciao Milan, ciao Atalanta, ciao Zebra. Negli ottavi di Champions non resta che l’Inter. Ops.

Con i campioni, domenica, primo tempo a rimorchio e secondo a cassetta. Con il Psv, primo dignitoso e secondo a catenaccio. Povero Motta: sfortunato all’inizio (Veiga k.o.) e agli sgoccioli (palo di Vlahovic chi?), responsabile di cambi tardivi e di sbalzi agghiaccianti, Savona a forte rischio rosso (94’, su De Jong) e Nico Gonzalez, mistero dei misteri, dentro fino alla fine (a proposito).

Qualche occasioncina qua e là, sì; e l’ultima di Kolo Muani in avvio di ripresa. Dopodiché, un disastro. Il controllo e il destro di Perisic (e due!); la zampatina di Saibari; il rasoio di Flamingo sguainato tra i peli di Di Gregorio (il migliore, comunque) e Gatti. Do you remember Riad?

Perisic, Saibari, Lang (soprattutto) sono esplosi alla distanza, mentre la Juventus è implosa. Eppure aveva pareggiato con un siluro di Weah. Weah, in perenne balia dei dribbling di Noa Lang. La squadra di Bosz è seconda in classifica. Non una combriccola di marziani, questo no, ma gente che, davanti al suo popolo, ha saputo ovviare ai propri limiti, aumentando la velocità di crociera e di palleggio e spingendo Locatelli e Koopmeiners a una gestione che la nuova dottrina avrebbe dovuto scongiurare.

Yildiz aveva inaugurato la saga dello Stadium: ammonito per simulazione e scomparso, letteralmente. Le staffette del Cipressone, solo polvere: né di stelle né da sparo. Salvo attimi randagi. E adesso il quarto posto diventa Fort Alamo.

Theo lo do io

Roberto Beccantini18 February 2025

Playoff di Champions, partite di ritorno. Fuori il Diavolo per suicidio. Fuori la Dea per sfinimento. Mi dicono che il Ranking sanguini…

** Milan-Feyenoord 1-1, andata 0-1 (Gimenez, Carranza). Stendere Theo su un lettino e strizzarlo: altro non resta. Subito in gol, con l’ex Gimenez, in controllo totale delle operazioni, anche per la formazione decimata degli avversari: ci sono tutti, i quattro «ballerini» (Pulisic, Gimenez, Joao Felix, Leao) e nessuno raddoppia su Rafa, cosa che gli titilla il tacco ma non la mira. Da Paixão, zero tiri. Poi, al 51’, Theo Hernandez, già ammonito, si tuffa in area. La caccia ai simulatori che Gasp aveva «sparato» dalle Fiandre si abbatte implacabile «via» Marciniak: secondo giallo, espulso. Sull’episodio, poco da aggiungere; sul francese, tanto. La partita slitta. I cambi di Sergio non aiutano. I batavi, che proprio a San Siro – nel maggio del 1970 – alzarono la loro unica Coppa dei Campioni, prendono coraggio e prendono campo, naturalmente. Scompare Leao, si dimette Joao Felix. Continua a non tirare, il Feyenoord, sino a che Carranza, un panchinaro, non inzucca un cross di Hugo Bueno. E’ il 72’. Ci sarebbe ancora tempo, ma da un pezzo, in dieci, non c’è più il Milan.

** Atalanta-Bruges 1-3, andata 1-2 (Talbi, Talbi, Jutglà, Lookman). Chapeau alla squadra di Hayen. Affianca il pressing e i reticolati a transizioni da «showtime», come documentano la doppietta di Talbi, il sinistro di Jutglà e i ricami di Jashari. Un palo di Zappacosta e un salvataggio di Mechele introducono lo 0-3: un segno del destino? Forse sì, ma senza esagerare. Da mesi appare un po’ sulle gambe, la Dea, scossa dall’ingresso di Lookman: gol e rigore parato. Il portiere, già: Mignolet ne sventerà altri, di pericoli. Il rosso finale a capitan Toloi è il tappo amaro e isterico di una bottiglia che Gasp immaginava di champagne. C’est la vie.

Da zucca a carrozza

Roberto Beccantini16 February 2025

Per rovesciare il pronostico contro la squadra campione servono un sacco di cose. Soffrire, rischiare, osare, avere fortuna. La Juventus di Thiago ci ha provato e, con pieno merito, ci è riuscita. Ha sofferto l’Inter nel primo tempo, ma poi l’ha cavalcata nel secondo: sino, almeno, all’ultimo quarto d’ora. Ha rischiato su Taremi, su Dumfries, su Lautaro, dalla mira flop. Ha osato, come già in avvio con Nico, due volte, e Conceiçao. Ha acceso un cero ai pali (Dumfries, ancora, con Savona in balìa delle sue sgasate).

Insomma, al 45’, più Inter che Juventus. Nella ripresa, tutto un altro film. D’improvviso, la formazione che sembrava l’ennesimo alambicco di un laboratorio fumoso, con Khéphren Thuram lucchetto, lui che serratura non è, con l’«ennesimo» Koop e il «solito» Gonzalez, si è fatta carrozza. Aggressiva – e, dunque, con meno dubbi – più precisa nei tocchi, più attenta a non perdere palla in uscita. Piano piano gli opliti di Inzaghino hanno rinculato: Taremi abbandonato, il Toro accerchiato, Barella contro troppi. I cambi hanno decorato la trama senza sporcare il quadro. Ma Cambiaso su Dumfries , al posto di Savona, è stato cerotto prezioso. Non altrettanto il Marcus Thuram menomato, per quanto generoso.

Il gol, maturo, è caduto al 74’. Fin lì, Acerbi e Kolo Muani avevano ringhiato e patteggiato. Ma ci sono gli attimi: e in uno di questi il francese ha infilato un cammello nella cruna di un ago smarcando il Portoghesino. Controllo e sinistro implacabile. Prima che Simone buttasse dentro Correa e Zielinski, Dumfries, dalla linea, «parava» Koop, finalmente non più Flopmeiners.

Ci provava, l’Inter, ma Gatti tirava giù la claire. Vibrante, ancorché lontana dal 4-4 di San Siro, la partita si è, così, consegnata ai più cocciuti, ai più affamati. Delle quattro vittorie di fila, la più bella.