Tali e pali. E il corto muro

Roberto Beccantini2 February 2025

In coda ai sei vinti dall’Inter e ai due dal Milan, questo derby è stato un inno a Eupalla che viola le «toghe» di Coverciano e cavalca, imbizzarrita – nel secondo tempo, soprattutto – gli episodi. Uno a uno. Reijnders di tap-in, su contropiede di Leao, al 45’; De Vrij in mischia, su sponda del deb Zalewski, al 93’. In mezzo, un incipit bigio e una ripresa da Cavalleria rusticana, Inzaghino impreca, Sergiao pure, visto il minuto dell’aggancio, in barba alla trama e ai momenti.

Tre pali, i campioni: Bisseck, Thuram, Dumfries. E tre gol correttamente annullati. Il risultato e i cambi ne hanno svegliato l’aggressività che, per metà match, era rimasta in bilico sul cornicione della pancia piena. Si presentava Walker, scuola City e tempra British, ma i migliori sono stati due che sembravano ormai più di là che di qua, Tomori e Pavlovic. Intorno, un Diavolo dalla difesa un po’ alta e, in generale, un 4-4-2 votato ai blitz. Nulla di nuovo su Leao: nello spazio, un astronauta; in gabbia, un carcerato. Però non lo avrei tolto. Il duello fra Theo e Dumfries è stato serrato e globalmente leale, a tratti quasi francescano. A proposito: non più di due ammoniti (Bastoni e Dumfries), e solo il primo per fallo. Tracce di derby marziale ma non tribale.

A poco a poco l’ordalia si è consegnata all’assedio dell’Inter e al catenaccio del Milan, con Maignan prezioso su Dumfries (così come, al 38’, lo era stato Sommer su Reijnders, il classico batavo che vive di calcio e non di saggi sul calcio). Non banale l’ingresso del baby Camarda, l’unico al tiro nel periodo in cui il sergente di Coimbra aveva deciso di chiudersi a chiave.

Sul piano tattico non ho colto nulla di speciale, se non le note affidate al vostro buon cuore. Ombreggiante Calhanoglu al rientro, «Toro» calatnte alla distanza, Pulisic e Abraham «nudi» alla meta. Naturalmente, avevo dato favorita l’Inter.
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Scarto e scarti

Roberto Beccantini2 February 2025

E’ che, nel curare qualcuno, si diventa qualcuno da curare. La frase di Alessandro Bergonzoni incornicia Thiago. Arruolato per cambiare libro, e non semplicemente per voltare pagina, si ritrova spesso all’indice. Anche dopo Juventus-Empoli 4-1. Il risultato è talmente obeso da richiamare le sculture di Botero. Partita stramba: se il gol di De Sciglio, malinconico ex, sa di pernacchia fantozziana, il rigore che un mani-comio di Anjorin toglie, via Var, a Maleh, pizzicato da Di Gregorio, è un cerotto su una ferita che, lì per lì, sembrava profonda.

La squadra di D’Aversa, già mutilata, finirà addirittura in dieci (83’, rosso per cumulo al Maleh di cui sopra). Non prima, però, di aver spinto per mezz’ora Madama tra le ombre lunghe di Napoli e Benfica. Scartare gli scarti (Veiga, al debutto; Kolo Muani), ecco un’emergenza diventata normalità. Si agita invano, la Juventus, tra un chilo di sgorbi, un etto di mischie e una sforbiciata di Nico, sventata da Vasquez. La solita brodaglia.

I fischi la scuotono. I lazzi la svegliano. I toscani perdono Ismajli, un lucchetto, e Kolo ne approfitta subito, divorandosi Goglichidze. E’ il 61’: tre minuti, e una lecca randagia di Weah incoccia uno stinco del parigino e spiazza l’equilibrio. Due gare, tre gol. A onor del vero, ma poco a onore del blasone, era da un po’ che la Juventus non sbadigliava più. A cominciare da «Flopmeiners», liberato dalla garitta.

Ecco: il destino ha battuto un pugno quando Thiago ha tolto Yildiz per inserire Vlahovic. Il turco: cioè il migliore. Lungi dall’infierire, al palo sfiorato da Colombo il fato ha poi affiancato l’imprudenza di Maleh (su Nico, secondo giallo). A questo punto, per non vincerla, sarebbe servita un’impresa. Il sinistro del serbo (toh) e un contropiede di Conceiçao hanno siliconato il risultato. Occhio, però, a non cascarci.

Thiagedia

Roberto Beccantini29 January 2025

A Napoli la Juventus di Thiago aveva giocato e retto per un tempo. Stavolta si scioglie subito. La Champions è la Champions. E Di Maria, Di Maria. Sempre, anche a 36 anni: pronti-via, e un esterno sinistro da urlo. Madamin non c’è proprio, un’incornata di Mbangula, su cross di Conceiçao, deviata da Trubin e poi più nulla (se non, qualcosina, nella ripresa). Gioca come giocavano i portoghesi una volta: tutta passaggi e passaggini, senza mai tirare (tiri veri, intendo). Ci sarebbe Vlahovic, ma Otamendi se lo mangia. Weah terzino destro è l’azzardo del pokerista alla canna del gas. E dall’altra parte, McKennie (settimo capitano della stagione) soffre l’aura del Fideo.

Sorniona, la squadra di Bruno Lage sceglie il contropiede, ebbene sì. Mettiamoci pure l’infortunio di Kalulu, con Locatelli centrale d’urgenza e Gatti unico difensore di ruolo: il gol di Pavlidis, tripletta al Barça, fotografa la notte. Palla persa, lancio di Aursnes, pressing labile e difesa scavalcata, assist comodo di Bah e rete, ancora più facile, del greco.

Con Koopmeiners in panca, la manovra gira attorno a Douglas Luiz e Thuram, ed è spesso orizzontale, quando non banale. Scritto e riscritto, lo so. Gli sgorbi tecnici sono una montagna. L’atteggiamento, pavido, non porta da nessuna parte, Mbangula cigola, Yildiz solleva polvere, i dribbling di Conceiçao sono acqua fresca. Il popolo brontola, poi ruggisce, poi fischia. Piovono cross dalla gittata grossolana – per chi, poi? – e al 47’, in pieno recupero, tocca a Perin murare Pavlidis, liberato da un malinteso tra Gatti e Locatelli.

Poco da aggiungere. Sì, alla distanza i cambi e un po’ più di audacia, e persino qualche pallottola vagante. Acqua fresca, rispetto alla superba azione che pilota Kokcu a firmare il 2-0. Juventus senza anima e senza gioco, precipitata in quel burrone sul ciglio del quale i pareggi l’avevano tenuta pericolosamente in bilico. Il capo si è perso, e i dipendenti l’hanno capito. Sin troppo.