Le mille bolle blu

Roberto Beccantini29 May 2021

Nel giorno dell’Heysel – che Ceferin, piccolo uomo, ha completamente rimosso – Tuchel spazzola Guardiola (1-0 sul campo, terza vittoria in altrettante sfide) e offre al Chelsea quella Champions che non era riuscito a porgere al Paris Saint-Germain: e, per questo, sceicchi ricchi ma miopi avevano esonerato.

Ha deciso un gol di Havertz, un gol molto verticale, su lancio di Mount, tranciante come una pugnalata. L’ordalia e (finalmente!) il chiasso di Porto hanno perso due protagonisti: Thiago Silva, troppo presto; De Bruyne, speronato da Rudiger, dopo un’ora scarsa. Primo tempo bellissimo, con il City a palleggiare e il Chelsea a giocare sul filo, tre passaggi per uscire di casa e occupare la piazza. Il tutto, a una velocità che, senza televisione, noi poveri inquilini di un altro calcio non vedremmo mai.

Guardiola, ogni tanto, si specchia nella rassegna stampa. Successe la corsa stagione, con il Lione: difesa a tre, d’improvviso. Stavolta, dentro Sterling, fuori Fernandinho e una manovra che, salvo le bollicine iniziali, non ha prodotto un tiro. Neppure alla distanza, neppure con centravanti un po’ più veri (Gabriel Jesus, Aguero) e un Foden più libero di sganciarsi. Seguivo il De Bruyne pre-ko: si muoveva come se gli avessero sabotato l’arredamento del salotto.

Dal Villarreal al Chelsea, dunque. Com’è triste, Manchester, appena due finali dopo. Non alzavano la coppa, i blues, dal 2012, e anche allora grazie a un carro attrezzi: Roberto Di Matteo, precettato d’urgenza al posto di Villas-Boas. Gran signore, Thomas Tuchel: del predecessore, Lampard, ha ricordato i meriti, non gli errori. E pressato dal City, non si è vergognato di chiudersi a chiave. Morale: Mendy, zero parate e in bacheca, l’Europa. Modestamente. Meritatamente.

Due anni buttati

Roberto Beccantini27 May 2021

Due anni buttati. Quattro allenatori dal 2019 al 2021: Massimiliano Allegri, Maurizio Sarri, Andrea Pirlo, Allegri. Con l’aggravante che l’ultimo era il primo. Si motivò la rinuncia ad Allegri, gran gestore, con la fine della dittatura del risultato. Si giustificò l’avvento di Sarri con l’utopia del «giuoco». Si rischiò la scommessa Pirlo con la filosofia low cost e la voluttà di un guardiolismo liquido, sospeso, da «non succede, ma se succede».

Il ritorno di Max, fermo da due anni che sembrano due secoli, fissa una sconfitta dalla quale non è escluso che la Juventus possa ripartire per poi vincere la pace. E’ la classica minestra riscaldata alla Giovanni Trapattoni (voto sei) o alla Marcello Lippi (voto otto). Non c’è più Beppe Marotta e, notizia di mercoledì, non ci sarà più Fabio Paratici: bravo nei mercati, tranne gli ultimi, un disastro nel caso Suarez.

Perfetto fino al 2019 o giù di lì, Andrea Agnelli si è perso. Se arruolo Sarri, non potendo non conoscerne lo stile, poi me lo tengo, a maggior ragione dopo il nono. Se mi butto su uno «zero gavetta» come Pirlo, poi non lo mollo, visto che bene o male l’ha fatta. La Superlega (citofonare Villarreal) l’ha spinto lontano. I bilanci piangono, il futuro incombe e ogni mossa diventa una mano di poker. Si aspetta di sapere cosa farà Cristiano Ronaldo, a 36 anni, dal momento che solo lui può deciderlo. E comunicarlo.

Nel frattempo, Allegri. Di nuovo. Ai tempi della fuga di Antonio Conte, trovò la pappa fatta e ne moltiplicò le scodelle (5 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Supercoppe di Lega, 2 finali di Champions, 4 doppiette scudetto-Coppa Italia); questa volta, a naso, dovrà cucinare un po’ di più. Sarà anche semplice il suo calcio,
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Per grazia ricevuta

Roberto Beccantini23 May 2021

Uno sprint alla Bitossi-Bitossi-Basso. Si è piantato il Napoli, rimontato in casa dal Verona quando ormai il traguardo era lì. E così con il Milan, eversore di un’Atalanta già satolla e non proprio serena dopo Reggio, in Champions va la Juventus. A parte, naturalmente, l’Inter: fuori concorso.

Dico la verità: come meritò di aggiudicarsi Supercoppa e Coppa Italia (la prima, di episodi; la seconda, con una gagliarda ripresa), così la Juventus non meritava la Champions, già tradita negli ottavi, dal vivo, contro il Porto. Troppo discontinua, troppo lunatica, rispetto alle concorrenti.

Il Bologna non ne aveva voglia, al di là dei pronostici di Mihajlovic (Valeri arbitro, Giacomelli al Var) e comunque dalla Roma, a dicembre, ne aveva presi cinque (a uno). Questa volta, «solo» quattro (a uno, sempre). Ha giocato di qualità, la Juventus al Dall’Ara, senza Cristiano, con una formazione che non avrei fatto, gol di Chiesa, Rabiot e Morata (doppietta). Senza dimenticare il contributo di Kulusevski e Dybala.

Non è colpa mia se fra il quarto e il quinto posto ballano 50 milioni di euro. Credo che il futuro di Pirlo non potesse e non possa dipendere da una partita su 52: l’ultima. Nella mia griglia, prima che arrivasse Morata (e non Milik, Dzeko o il pistolero), figurava al primo posto, davanti a Inter, Atalanta, Milan e Napoli. Ho azzeccato l’Atalanta, terza, e il Napoli, quinto.

Pirlo, dicevo. Se una società l’ha preso a «gavetta zero», avrebbe poco senso liquidarlo adesso che, bene o male, qualcosa non può non aver imparato. E comunque: se si decide di mollarlo, dovrebbe andarsene, per coerenza, anche colui che puntò tutto, persino troppo, su di lui: Andrea Agnelli. E’ il mio parere. Ma, come scriveva Vittorio Zucconi», «le opinioni sono come il sedere. Tutti ne abbiamo uno, ma non è detto che interessi agli altri».