Sic transit boria mundi

Roberto Beccantini26 February 2025

Al di là dei rigori, nel senso che l’Empoli di D’Aversa avrebbe meritato ben prima. L’ultimo Allegri aveva lasciato «almeno» la Coppa Italia. La Juventus di Thiago si arrende nei quarti – e in casa, addirittura – contro la terzultima in classifica, liberando per una notte la formula del rodeo dalle sbarre odiose dei privilegi di casta.

Le quattro vittorie in campionato sembravano aver allontanato allenatore e squadra da quel burrone sull’orlo del quale stavano pericolosamente annaspando da settembre: dopo che a Eindhoven vi erano finiti quasi dentro.

La palla-gol sprecata da Nico in avvio e, da lì in poi, per un’ora buona, la peggior Goeba impiegabile e immaginabile, zavorrata da un turnover che aveva toccato molti ma non Flopmeiners. Vlahovic al centro e Kolo all’ala viaggiavano in incognito, Nico non ne azzeccava uno, come McKennie. Additare un difetto, dico uno, diventava difficile, tanti ce n’erano: l’arroganza, l’approssimazione, le scelte dell’allenatore (proprio adesso che il calendario dà respiro). L’anima. I piedi.

Via via, le riserve dell’Empoli afferravano lo spirito del tempo, uscivano dal guscio e colpivano con il jab destro di Maleh, su ennesimo sgorbio del Gonzalez Nico. Non solo. Limitavano i danni e volavano in transizione. Tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo, Konate (classe 2006) sfondava un palo, Maleh (ancora) e Sambia spremevano i guanti di Perin.

I cambi di Motta, tardivi, con un sacco di punte e puntine all’occhiello, spingevano l’ordalia verso un tamburello che trasformava l’arena in un poligono aperto a tutti (e a tutto). Il pareggio del Thuram dalle troppe panche era una perla zidaniana. I rigori di Vlahovic (alto) e Yildiz (parato), il capriccio di un destino non sempre cinico e baro. Segnavano tutti, i Davy Crockett di Toscana, già giustizieri della Viola: Henderson, Cacace, Kouamé, Marianucci. Chapeau. E là dove ci si scannava per il corto muso, verguenza e basta.

Sciupona

Roberto Beccantini23 February 2025

Hanno giocato tutti per la Juventus: la Lazio, il Bologna, il Milan, la Fiorentina. Tutti, persino la Juventus. Quarta vittoria di fila in campionato, quarto posto da sola. L’1-0 di Cagliari è scarto fin troppo scarno, al netto della sofferenza generata dall’ingresso di Luvumbo e dell’artiglieria pesante (Coman, Pavoletti) e dall’ineluttabile arretramento dei carri mottiani.

Reduce dal macigno dei supplementari olandesi, Madama ha dominato per una mezz’ora buona, creando e sprecando a man salva. Thiago si era impiccato a Koop, rinunciando a Thuram. Dentro, subito, Vlahovic e Yildiz: guarda un po’. Locatelli, che Nicola abbandona colpevolmente a sé stesso, domina, libero, il fraseggio. Madama fa quello che vuole. Aggressiva. Autoritaria. A segno già al 12’ con il serbo, che si mangia Mina (vagante), scarta Caprile e infila, alla Sivori, con uno di quei tiri che non «finivano» mai, da posizione defilata.

Accusano il colpo, i sardi. Il cui portiere, però, decide di non arrendersi e, per questo, risulterà l’hombre del partido. Caprile salva due volte su Yildiz, smarcato da Di Gregorio e Vlahovic, e una su Conceiçao, che poi, ciccando un cross di Koop, lo grazia. Per una notte, spari a parte, tutto o quasi come da lavagna.

Se da un primo tempo così ricavi la miseria di un golletto, non è detto che il destino gradisca. E infatti si era impermalosito. Le staffette di Nicola (Luvumbo, in particolare: a sinistra, non a destra) spingevano la squadra. La Goeba rinculava, anche per via dei cambi di Motta che, tra infortuni e sfinimenti, lasciavano il centrocampo agli avversari (Loca fuori, uhm). Ma, va detto, zero parate di Di Gregorio. E, in contropiede, un rigore (di Luperto) sfilato a Vlahovic e un altro paio di occasioni sciupate per eccesso di «masturbatio grillorum». Clamorosamente, alla distanza, Vlahovic «più» Kolo. Proprio «stranino», come dicevano a Bologna, il Cipressone.

Quel ramo del mago di Como

Roberto Beccantini23 February 2025

Sorpasso, dunque. Inter 57, Napoli 56. Cadono, i fanti di Antonio, a Como, quarta partita senza vittorie e quarta sconfitta dopo tre pareggi. Il 2-1 sorvola gli aspetti della cronaca e gli spettri degli episodi. Quel Cesc del ramo di Como. Giù il cappello. Sull’uno pari, mette una punta in più, Cutrone, e se la gioca fino alla fine (a proposito), premiato dal ricamo di Nico Paz per il destro di Diao nel cuore di una difesa in bambola.

Del Napule mi ha deluso, molto deluso, il secondo tempo. L’agenda libera avrebbe dovuto suggerire ben altra cazzimma. Eppure di avvisi di «garanzia» ce n’erano già stati. Al netto dei garbugli che avevano spaccato e ricomposto l’equilibrio: il suicidio di Rrahmani, con Meret fuori porta, un autogollonzo all’altezza del tamponamento Maignan-Thiaw di sabato, a Torino; il mezzo harakiri di Kempf, borseggiato da Raspadori.

La ripresa, dicevo. Il nulla di Lukaku. La panchina di Anguissa, diffidato e, per questo, sdoganato giusto agli sgoccioli. Le gambe che giravano in sordina, o comunque non come il loggione si sarebbe aspettato. E le idee. I proprietari indonesiani del Como hanno saputo scegliere la gente che deve scegliere. E Cesc Fabregas, scuola Barcellona, è un allenatore che mi aveva incuriosito sin dalla serie B. Propone, rischia. Avrà i suoi difetti, ma trasmette emozioni, non semplicemente nozioni.

Conte Dracula. Al posto di Kvara è stato reclutato uno scarto del Milan, Okafor. Il giocatorista che è in me frigge. Troppo, il Martello salentino, l’ha menata con il mercato e aver sparso polvere sul futuro, proprio in un frangente così delicato, non ha aiutato, non può aiutare. Nemmeno De Laurentiis, tornato ‘o Pappone.

Le idi di marzo, a caccia perenne di un Cesare e di un Bruto, incombono fatali. Sabato, al Maradona, Napoli-Inter. Mamma mia.