Nel ricordo del grande Rino

Roberto Beccantini8 February 2017

Dal ring devastato di Juventus-Inter alla pennica di Crotone-Juventus. Dai colpi sopra e sotto la cintura di domenica al caos calmo del recupero. E’ stato il classico caso del chirurgo che si addormenta con il paziente in sala operatoria, il bisturi a mezz’aria e il possesso palla che si gonfia, si gonfia fino a scoppiare come un palloncino. Ogni tanto il calcio si appassiona alla saga di Davide contro Golia e lascia scriverla ai Dani Alves e ai Rincon di turno, un «non più e un «non ancora» (ma generoso, molto generoso).

Nicola si è difeso a catenaccio, Allegri aveva scelto Pjaca e non Cuadrado, Khedira e non Pjanic. Venivano, i campioni dall’ordalia con l’Inter, mai così tele-invasiva, e il ritmo d’approccio è stato molle. Troppo. E i passaggi, imprecisi. Troppo. Higuain, Dybala e Mandzukic erano accerchiati e mal forniti. A un certo punto Dybala è andato a destra, Pjaca a sinistra e Mandzukic vicino al Pipita. Non che siano diminuiti gli sbadigli; sono migliorati gli appigli.

Quando si gioca così – come a Palermo, come a Frosinone una stagione fa – pazienza e tempo sono sempre lì che si fiutano e si graffiano. Tocca al risultato alzare il braccio dell’una o dell’altro. I gol di Mandzukic e Higuain, la traversa di Pjanic, poi entrato, hanno promosso la pazienza. Pjaca era atteso al varco: deve scolpire il dribbling, non semplicemente disegnarlo. Non siamo ancora alle idi di marzo e il problema, generale, rimane la qualità e la continuità, specialmente adesso che gli attaccanti giocano tutti.

Zero ammoniti il Crotone, uno la Juventus. Ogni tanto, un po’ di camomilla non guasta. E se al Bar sport preferiscono i caffè doppi o macchiati, si servano pure. L’importante, per tutti, è che il cielo sia sempre più blu. Grande, grandissimo, Rino Gaetano.

Molto istruttiva

Roberto Beccantini6 February 2017

E’ stata una partita bella per un tempo e poi aspra, come da archivio. Sul piano del gioco si può dire tutto quello che si vuole, e cioè che l’Inter, a tratti, ha preso possesso del centro del ring e spinto la Juventus alla corde. A livello di occasioni, viceversa, non c’è stata gara. Il gol di Cuadrado (e che gol: sassata di destro, alla Totti), due traverse, Handanovic sempre sul pezzo contro un gran tiro di Joao Mario e un paio di brividi.

Allegri aveva confermato il movimento cinque stelle. Pioli, lui, aveva scopiazzato la vecchia Juve, aggiungendo Medel a Miranda e Murillo, allargato per tenere d’occhio quell’armadio di Mandzukic. Il problema di «questa» Juventus resta il rapporto fra opportunità e gol: se non chiudi le partite, l’esubero di punte e mezze punte può trasformarsi in zavorra, come hanno documentato le guance offerte al contropiede del deludente Perisic e, per la proprietà transitiva delle flessioni, il ricorso d’urgenza a Rugani.

E’ stata una notte disegnata dagli uncini di Chiellini, focoso collezionista di tackle e di bolge. Chiellini, e poi Mandzukic, e poi Higuain. Forza e dedizione, virtù che andranno abbinate a un gioco possibilmente meno frammentario.

Mi era piaciuta di più l’Inter di de Boer, all’andata, ma è pur vero che quella era un’altra Juventus. Pioli ha mescolato le carte, in avvio e durante: ha tirato poco, l’Inter, ed è calata alla distanza, spersa nel labirinto juventino.

I guizzi balistici di Dybala e Pjanic, il lavoro sporco di Gagliardini: non è stata un’ordalia vana. Lascia la solita polvere da sparo, dal rosso di Perisic al Rizzoli contestato. Vero, Chiellini e Mandzukic hanno rischiato il rigore, ma cinque ammoniti della Juventus contro uno (parlo di falli, non di proteste) costituiscono una contabilità strana. E comunque: 28a. vittoria consecutiva in casa e migliore in campo, il portiere avversario.

Qualcosa di sinistra

Roberto Beccantini29 January 2017

Dopo aver reso omaggio al talento infinito di Roger Federer e al suo degno rivale, Rafa Nadal – perché proprio a questo servono i grandi avversari a rendere grandi le vittorie – eccomi a scrivere di una delle rare «sinistre» che ci sono rimaste, la sinistra della Juventus. I gol che hanno steso il Sassuolo, entrambi splendidi, sono nati proprio lì, sulla fascia mancina.

Il primo: tacco di Mandzukic, volata di Alex Sandro, esterno destro di Higuain. Il secondo: cross del Pipita, velo di Dybala, gancio di Khedira. Allegri aveva confermato il «Movimento cinque stelle». Due reti, un palo (di Dybala), non meno di tre occasioni sciupate o parate. A fronte di un unico duplice salvataggio di Buffon (39 anni da sabato, auguri).

Da queste parti, Allegri non aveva mai vinto. E il 28 ottobre della scorsa stagione aveva toccato il fondo. Per la cronaca, e per la storia, è il terzo successo, in altrettante partite, firmato dal quattro-due-Avanti Savoia. Il più netto. Migliore in campo, per distacco, Gonzalo Higuain: pressatore (su Cannavaro, nell’azione del raddoppio), suggeritore, realizzatore. La squadra si è mossa a sciami, e qua e là mi è sembrata persino felice dei sacrifici ai quali l’esubero di punte la costringeva.

Il Sassuolo di Di Francesco non è più il Sassuolo d’antan, ma c’era Berardi. L’uno-due di Higuain e Khedira ha disarmato quei clienti, focosi, che erano entrati nel saloon buttando all’aria bicchieri e caviglie. Se escludiamo un paio di Bonucciate, i cross di Lichtsteiner e un numero circense di Alex Sandro da ultimo uomo, la Juventus mi è piaciuta: come spirito, soprattutto. La svolta tattica di Allegri, in attesa che l’Inter la pesi sulla bilancia delle sue sette vittorie, funziona. Anche se continuo a non capire perché non impieghi tutti i cambi.