Possibile, ma dura

Roberto Beccantini15 December 2014

Sarà dura, perché il peso netto della Juventus in Europa è qualcosa di vago che ognuno tira come una giacca. A Dortmund, nel lontano 1995, nacque il gol «alla» Del Piero: interno destro a giro dalla spigolo sinistro dell’area. C’era anche Conte, la Juventus vinse 3-1 e Antonio segnò il terzo. A livello di partita doppia, i bianconeri sono sempre stati il gatto e i tedeschi il topo. Anche quando, per pietas sabauda, il Borussia passò a Torino.

E le finali di Coppa Uefa 1993? 3-1 là, 3-0 in casa, con quattro gol di Baggio (Dino, però). E le semifinali Uefa del 1995? 2-2 a San Siro, 2-1 in Germania. Il problema è stato il confronto secco, a Monaco, nella finale di Champions 1997: 3-1 per Riedle e la manica di ex (Koeler, Moeller, Paulo Sousa, Reuter).

Da qui al 24 febbraio Dio solo sa cosa combineranno Allegri e Klopp. Oggi, la Juventus è prima e il Borussia tra gli ultimi. Oggi, in Europa, il Borussia vola e la Juventus cammina. Immobile è un domatore in Champions e un domato in Bundesliga. Marco Reus recupererà o no? E gli altri infortunati? E Asamoah, già che ci siamo? Persi Goetze e Lewandowski, il Borussia rimane una squadra fondata sulla velocità e il contropiede.

La prima in casa sposta poco. Se mai, sposta molto, moltissimo, il trasloco dai materassi dei gironi alla ghigliottina dell’andata e ritorno. La Juventus predilige, storicamente, i tornei lunghi, ma questa è un’altra storia, non necessariamente sempre la stessa. Scritto che non si può girare al massimo per nove mesi, è auspicabile che in primavera Allegri ritrovi il miglior Tevez, il miglior Pogba e il miglior Vidal: mi accontenterei.

Per concludere, ecco il mio borsino: Juventus 45%, Borussia 55%. E in Europa League: Torino 40% Athletic Bilbao 60%; Trabzonspor 40% Napoli 60%; Tottenham 50% Fiorentina 50%; Roma 55% Feyenoord 45%; Celtic 40% Inter 60%.

Il lato G

Roberto Beccantini14 December 2014

A ma è piaciuto il lato G della Sampdoria, un po’ meno le «tartarughe» della Juventus. Gabbiadini ha 23 anni, un bel sinistro, copre tutta la fascia, può giocare punta centrale e punta laterale. Per carità, siamo ancora lontano dall’assoluto, ma essendo della Juventus perché farlo andare al Napoli? La butto lì, rispettoso di tutte le opinioni. Marotta compreso.

Ciò premesso, la Juventus ha cucinato per un quarto d’ora da ristorante da cento euro, poi come uno da venti. Le solite portate, voglio dire. Con Tevez stanco di testa, Morata impalpabile, Vidal impreciso (non è la prima volta), Pogba comme ci comme ça. Il golletto di Evra è stato supportato da potenziali occasioni, ma palle-gol vere e proprie, zero. Fra Toro, Fiorentina, Atletico e Sampdoria, la Juventus ha realizzato tre reti, una sola su azione (Pirlo). Al posto di Allegri avrei tolto Vidal, non Pereyra. E inserito Pirlo: qualche munizione, qualche punizioncina, hai visto mai.

Per compattezza e filosofia, la Sampdoria di Mihajlovic somiglia all’Atletico. Viceversa, il Genoa è più inglese. E con l’ingenuità degli inglesi ha spalancato il contropiede alla Roma. La partita di Marassi è stata spaccata dal rigore più rosso di Perin. Vero, Lamanna l’ha parato, ma Nainggolan, che se l’era procurato, ha poi sbloccato il risultato con una superba acrobazia. E’ lui il distintivo della Roma, non più Gervinho. La squadra di Garcia ha gestito la superiorità numerica con un agio talvolta superficiale. E così, a furia di tocchettare e sprecare, ha rischiato che, nel concitato finale, il Genoa l’acchiappasse. Aperta parentesi: per gli episodi dubbi, allo Stadium e a Marassi, prego rivolgersi al gentile Cartesio e al gentile Riccardo Ric. Chiusa parentesi.

Juventus 36, Roma 35. Le prime della classe non incantano, vi lascio con una frase memorabile: ne vedremo delle belle.

Sedotta e abbandonata

Roberto Beccantini11 December 2014

Se giochi in casa, e la casa si chiama stadio Olimpico di Roma; se ti basta lo 0-0; se affronti un avversario che ti subissa di fatturato (Garcia dixit) ma, nella circostanza, ti rende titolari del calibro di Aguero, Yaya Touré, Kompany, David Silva e Jovetic (detto a mia moglie all’inizio: Pellegrini è pazzo a lasciar fuori Jovetic. Risposta: e se il pazzo fossi tu?); se, se, se tutto questo e perdi 2-0, non ci sono né occasioni (di Holebas, di Ljajic) né centimetri – quelli che hanno diviso il palo-dentro di Nasri dal palo-fuori di Manolas – che tengano.

La Roma abbandona la Juventus e scivola, così, in Europa League. Resta il rammarico, sì, per una qualificazione sfiorata e buttata, cosa che però avrebbe potuto dire lo stesso City se. Al sorteggio di fine agosto, parlando delle italiane, scrissi su «il Fatto»: spareggio tra Juventus e Olympiacos; Roma costretta a rovesciare destino e pronostico. Non mi sento un genio, per questo. Anzi.

E’ finita, la Roma, quando è finito Gervinho, che riassume il suo distintivo tattico. Un po’ perché non ne aveva più, un po’ perché Nainggolan faceva troppo, Pjanic troppo poco e Totti niente, molto perché ormai i rivali hanno mangiato la foglia: lo aspettano al varco, lo raddoppiano, lo disarmano.

La leggerezza della Magica ha permesso a Pellegrini di trasformare la partita in una gruccia fino a quando Nasri e Zabaleta (quanto mi piace) non vi hanno appeso il risultato. Brillanti per un quarto d’ora, i romanisti sono poi calati e poi crollati. Non può più permettersi i fari spenti, Garcia, e nemmeno la difesa che ne aveva cementato l’ascesa (Maicon, Castan, Benatia, Balzaretti: sventrata, letteralmente). Di sicuro, il 7-1 del Bayern ha riportato il villaggio al centro della chiesa. Rimangono rimpianti e rimorsi, compresi i 38 anni di Totti, da Manchester al Manchester, forse una nuvola di polvere, forse qualcosa di più.