Emozione Zeman

Roberto Beccantini23 November 2014

In attesa del derby, ho visto Napoli-Cagliari 3-3. Per carità, anche il Palermo aveva rimontato e pareggiato 3-3 al San Paolo: non, però, «alla» Zeman. Quando allenava il Parma, il presidente Ceresini lo licenziò «anche» perché, con quella difesa ad altezza lampadario, gli faceva venire il mal di cuore.

Credo di interpretare il pensiero di tutta la Clinica – dal gentile Fulvio al gentile Bilbao77, passando per i gentili Riccardo Rc e 3 e De Pasquale eccetera – se applaudo questo boemo che, essendo l’Italia il paese del cattolicesimo, persino Andrea perdonerebbe.

Calcio verticale, come le fiamme della Juventus a Roma, ma con l’abate Farias, Balzano, Cippitelli e c. Tagli esplosivi, pressing arrogante, gambe robotiche (per ottanta minuti, almeno). Poi, certo, un gol preso direttamente su rimessa laterale, come l’Italia di Lippi dalla Slovacchia in Sudafrica, come l’Ajax ad Amsterdam contro la Juventus in Coppa dei Campioni: segnò Causio, sfruttando la paranoia del fuorigioco batavo.

Higuain, Inler, Ibarbo, Farias, De Guzman, Farias: poteva vincere il Napoli, poteva vincere il Cagliari. Zeman è quello che perde le partite vinte e vince, o pareggia, le partite perse. Dategli una squadra di affamati, possibilmente giovani, e vi solleverà il morale (e la morale, ogni tanto). Ricordate Immobile, Insigne e Verratti a Pescara?

Benitez sembrava a buon punto. Possibile che quello odierno fosse lo stesso Napoli della lezione inflitta alla Roma? Ci sono stati momenti in cui faticavo a distinguere chi, dei due, fosse Zeman e chi Benitez.

Ignoro se Zeman si salverà. Osa l’inosabile, detesta gli equilibri. Dal suo carretto cade sempre qualcosa: un’emozione, un sermone, un eccesso. Ognuno di voi raccolga il pezzo che più lo eccita.

Opti Pogba

Roberto Beccantini22 November 2014

L’Italia è il paese del cattolicesimo: possiamo anche perdonare le persone. Ci provo.

Perdono Allegri per non aver dato retta al circolo dei «trecinqueduisti», frequentato ogni tanto dal sottoscritto. La stagione è lunga, la Roma forte, ma la Juventus che ha dominato la Lazio all’Olimpico è stata «sontuosa» (copyright, il gentile Cartesio). Anche in dieci. Il modulo è la cornice, non il quadro.

Perdono sir Alex Ferguson per aver spinto Opti Pogba verso Marotta. Ferguson era al ventiseiesimo anno di regno, solo la pancia piena e i ruttini possono spiegare una simile dormita.

Perdono me stesso per l’orribile sigla che mi ha ispirato il terzo gol, bellissimo. La P3: Pirlo-Pereya-Pogba. Quei tre «cosi» si son passati la palla come se fosse una caramella. E quel Pereyra è meno banale di quanto pensassi.

Perdono la Lazio di Pioli per essersi esaurita in un quarto d’ora. E per aver offerto la schiena ai pugnali bianconeri (wow).

Perdono Tevez, alla nona rete in campionato, per quel continuo rimbalzare tra l’eccellenza domestica e la normalità europea.

Perdono Damato per il secondo giallo a Padoin: era talmente sciocco che poi ha fischiato sempre pro Juve. Sartina, la dedico a lei.

Perdono l’Atalanta per aver subito un gol e mezzo in contropiede dalla Roma. Nessuna attenuante. Se mai, le aggravanti di giocare in casa e di essere passata in vantaggio.

Perdono De Rossi per eccesso di sombrero e Maxi Moralez per difetto di mira.

Perdono Ljajic, serbo nostro, per non aver fatto rimpiangere Totti. Sono già quattro, i gol di questa singolare riserva: o «contitolare», per scimmiottare quei giornali che scrivono «condirettori», così i vice direttori non s’incavolano.

Perdono Garcia perché il turnover non costituisce reato. Anzi.

Amnesy international

Roberto Beccantini18 November 2014

Non so se mi spiego: abbiamo sconfitto, di carambola, la Nazionale che aveva liquidato il Portogallo in Portogallo (senza Cristiano Ronaldo: ma i giocatori non contano) e pareggiato in amichevole con la Francia di Opti Pogbà. Uno a uno con la Croazia, 1-0 all’Albania: Conte dice che i conti tornano. Come risultati, sì. Come gioco, non ancora. A San Siro, molto fumo; a Marassi, molte bollicine, tre invasori fra gli applausi (degli steward, anche) e tifo più «alba» che «ita»: un segno dei tempi. E dei campi.

Non chiedevo certo la luna. Mi accontentavo del dito che la indica. L’ho avuto. Così, mi sono divertito. E commosso, addirittura, all’ingresso di Acerbi: aveva vinto un tumore ai testicoli e per questo, visto che siamo in uno strano Paese, rischiato la squalifica per doping. Nella classifica Fifa, l’Italia è 11a. e l’Albania di De Biasi, un moderno Geppetto, 48a. Giocavano le riserve. Un sacco di tiri, da una parte e dall’altra. Ci sono stati anche un palo (di Cikalleshi), errori pacchiani (di De Silvestri, di Sirigu) e palle-gol, oh yes, non quante però millantate dagli spacciatori.

In attesa che «Winston Cerci» risolva l’eterno dilemma – grande coi piccoli, piccolo coi grandi – il suo dribbling ha rallegrato la serata del sottoscritto non meno della maglia strappata e incerottata. Ai Mondiali del 1938, in Italia-Brasile, Pepin Meazza stava battendo un rigore quando gli partì l’elastico dei pantaloncini. Non fece una piega: tirò e segnò.

Ho sorriso all’intemerata pre-partita di Conte: come farò per quattro mesi senza vederli (i ragazzi)? Ci vorrebbe un amico (in Lega). Ci vorrebbero gli stage di stato. Come no. Peccato che, da tecnico della Juventus, erano proprio questi i concetti, srotolati dal ct di turno, a mandarlo in bestia. Mi è venuto in mente Oscar Wilde: «La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé». Sempre?