Mal di pancia

Roberto Beccantini16 November 2014

Mettetele pure in fila, le attenuanti: gli infortuni, da Pirlo a Pasqual, l’ultimo della serie; la papera di Buffon; il fatto che non battiamo la Croazia dal 1942. Ma poi bisogna parlare della partita, e i croati ci hanno fatto un mazzo così. Non sembrava neppure una squadra di Conte, timida e sterile com’era, né italianista né europeista. Già il gol di Candreva (il migliore, comunque) era stata una fetta raccolta, e non una torta tagliata.

Nella classifica Fifa, l’Italia è 11a. e la Croazia 14a. Con l’uscita di Modric, fin lì padrone indiscusso di San Siro, la Nazionale di Kovac ha perso bellezza, non superiorità. E’ stato il torello di Rakitic e compagni, più che il mal di pancia del nostro portierone, a condizionarci. In questi casi si urla: giocate almeno con il cuore. Gli azzurri l’hanno fatto. Ma il cuore non fa miracoli. Curiosamente, Conte si aggrappa al 3-5-2 nel momento in cui persino Allegri, alla Juventus, l’ha ammainato, e pure Mancini, all’Inter, si accinge a farlo.

Abbiamo giocato prevalentemente in contropiede. La Croazia, penso a Kovacic, ha avuto il torto di specchiarsi, rischiando la fine di Dorian Gray. Sono sincero: mi aspettavo un po’ più di Italia, ma non una partita molto diversa. Noi, modica quantità; loro, diffusa qualità. Un disastro, il centrocampo: da Marchisio a De Rossi. In assenza di plausibili geometrie, Conte si è brerianamente difeso al limite dell’area, con El Shaarawy, vice Immobile, terzino d’emergenza. La staffetta Zaza-Pellé è stata un giro di roulette.

Ci hanno pressato, ci hanno accerchiato. Per fortuna, come se il possesso palla fosse diventato anche per loro la pace dei sensi, hanno tirato poco, a differenza degli ultrà portati da casa. Lo stop di Kuipers ha consegnato l’epilogo al cannoncino di El Shaarawy e all’occasionissima di Perisic. Ci è andata bene. Resta un mistero come nei nostri stadi continuino a entrare petardi e delinquenti.

Dalla parte di Mazzarri

Roberto Beccantini14 November 2014

Stavo studiando l’incidenza dei passamontagna sui dibattiti moderni, quando la gentile Teodolinda mi ha chiesto un parere sul caso MM. Cedo all’eleganza del tono, più che al brivido della notizia, visto che è prassi (detestabile) rimuovere l’allenatore non appena le cose vanno male. La Juventus licenziò Ranieri quando mancavano due giornate al termine del campionato. Un’altra Juventus, per fortuna. Oggi, ne mancano ventisette: e i tifosi pesano, come certifica lo strano caso del dottor Vucinic e del signor Guarin.

Mi spiace per Mazzarri, che non avrei esonerato al netto degli errori (e della pioggia che va). Reputo Mancini un grande giocatore sottovalutato e un buon allenatore sopravvalutato. Deduco che Thohir proprio in bolletta non sia, dal momento che dovrà pagare lo staff uscente e quello entrante. Deduco anche che il trenta per cento di Moratti conti ancora qualcosa.

Mancini si «dimise» dopo Inter-Liverpool e fu l’ultimo tecnico prima di Mourinho. Dopo il triplete del Vate (2010), l’Inter ha schierato: Benitez, Leonardo, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni, Mazzarri. Mazzari la prese che era nona e l’ha portata al quinto posto, con l’Europa League all’occhiello. Come Stramaccioni, ha pagato un tributo forte agli infortuni. La difesa a tre, che soffiò a Conte la sera di un memorabile Napoli-Juventus 3-3, non ha funzionato. Per la cronaca, ci aveva già provato Gasperini. Molti si sono chiesti se Walter fosse da Inter; pochi, se «questa» Inter, intesa come rosa, fosse da Mazzarri.

Nella mia griglia estiva, l’avevo collocata dietro a Juventus, Roma e Napoli. Ha sei punti in meno rispetto a un anno fa. Mi sono sbagliato io, si è sbagliato Mazzarri o si è sbagliata la società? Inzaghi ha solo un punto in più e non dico che passi per un genio, ma quasi.

Con Mancini torneranno la difesa a quattro e, forse, il trequartista. Comincia un’altra storia. Senza Ibrahimovic.

Le vedove Allegri

Roberto Beccantini9 November 2014

Mi dicono che era dal 1983 che la Juventus non vinceva, in campionato, per 7-0. Dall’Ascoli al Parma ne è passata, di acqua, sotto i ponti e sopra i Palazzi. Oggi, Michel Platini è presidente dell’Uefa. Quel pomeriggio, giocò e ne segnò due.

Se la prendo così alla larga, credetemi, non è per omettere le dimissioni di De Ceglie da Attila anti Inter, e neppure per calpestare la svolta tattica di Allegri, battezzata con l’Olympiacos (4-3-1-2) e cresimata con il Parma (4-3-2-1); o tanto meno per sbattere in cantina una lezione di calcio così totalitario.

Lo faccio, esclusivamente, su dritta di un paziente, il gentile Robertson: «Padoin stasera sembra Lahm. C’e qualcosa che non torna». Ecco: quando i degenti ragionano in questo modo, il Primario gonfia il petto e pensa che i tre anni della Clinica non siano passati invano.

Llorente, Lichtsteiner, Llorente, Tevez, Tevez, Morata, Morata: il pericolo di queste vendemmie è finire ubriachi già sui grappoli, senza aspettare il vino in tavola. Conoscendo la Juventus, non ci giurerei. Potrei aggiungere che segnare sette gol tutti regolari – e, dunque, sprecarne almeno sei – non è né da Arpagone né da Juventus. E’ chiaro, però, che non si può far sempre melina. In Europa è diverso, e lo sapete. Si può giocar bene in tanti modi (e tanti moduli), e anche questo è assodato. Il coast to coast di Carlitos ha riempito il video, gli occhi, i divani. Giù il cappello. Per alcuni, queste scorpacciate sono la torta. Per altri, viceversa, sono la ciliegina. La classifica, gentildonna, ne fa fede.

Se l’avversario è crollato, merito del «rumble in the jungle» introduttivo. Quanto al resto, adesso che la Juventus ha cambiato libro (così pare), meglio voltare pagina. Subito.