Occhio per occhio

Roberto Beccantini28 September 2014

Brutta settimana per chi ha scritto o parlato di «occhi». Ha cominciato Claudio Lotito, con la spregevole uscita sullo strabismo di Marotta; Lotito che fa coppia con Tavecchio e, insieme, fanno tanto Felpa e Louise. Poi è toccato a me, in risposta a un lettore. Occhio all’Inter, scrissi di mio pugno mentre mi facevo di niente. Morale: Inter uno Cagliari quattro. Non solo: tripletta di Albin Ekdal, 25 anni, svedese di scuola Juventus, improvviso tesoro dell’isola.

«Non abbiamo le palle», ha chiosato Mazzarri. Parole sante, anche se Mazzarri non è un tifoso: è l’allenatore. Occhio all’Inter. E a Zeman, ça va sans dire. Veniva da tre sconfitte, gioca sempre allo stesso modo. Frequenta gli eccessi. Offre emozioni a tutti: avversari compresi. Non avevo colto tracce del suo menu, in questi primi assaggi di campionato. L’espulsione, corretta, di Nagatomo ha spaccato l’ordalia, ma non è detto che in dieci si debba per forza perdere. Soprattutto se giochi in casa, hai appena pareggiato, ti chiami Inter e non hai di fronte Cristiano Ronaldo o Leo Messi.

Il 7-0 al Sassuolo e l’1-4 con il Cagliari decorano le pareti dell’ennesima pazzia. Già in avvio l’Inter era parsa molle e il Cagliari sul pezzo. Mazzarri rimpiange il turnover non fatto, ma siamo appena alla quinta o sbaglio? Il problema riguarda la personalità, ancora ballerina, della squadra (e sua, temo). Grave non aver capito la forza di Ibarbo. Fin dai tempi del Cellinismo duro e puro, il colombiano era capace di furibonde sgommate: avete presente lo strepitoso gol che firmò a Catania? Io sì. Zeman l’ha recuperato, non inventato; e l’Inter liberato.

Un anno fa, l’Inter aveva tredici punti, gli stessi della Juventus, due in meno della Roma capolista. Piano piano si sgonfiò. Mai, con Mazzarri, era stata umiliata così. Non so se sia tornata Zemanlandia: noi giornalisti siamo i primi a vivere di luoghi comuni. Addirittura più di lui, a volte.

Grandi firme

Roberto Beccantini27 September 2014

L’avversario più tosto, questa volta, toccava alla Juventus. L’Atalanta l’ha impaurita per una trentina di minuti e un episodio: il rigore (che non c’era) parato da Buffon a Denis. Palla nell’altra area, gol di Tevez, già autore del primo (e di quattro in totale). Poi i cambi, poi Morata: di testa. Ebbene sì, sono riapparsi i cross alti. Anche se Llorente continua a giocare spalle alla porta. Ordini di scuderia.

In campionato, l’andazzo è questo. Allegri e Garcia vincono sempre. Per la Juventus, un saldo-gol di 10-0; per la Roma, di 9-1. La stagione è lunga, piano con i paragoni, vecchi e nuovi. La prossima settimana si annuncia esplosiva: Manchester City-Roma, Atletico Madrid-Juventus e, last but not least, Juventus-Roma.

Colantuono le aveva tentate tutte: anche Boakye a uomo su Marchisio. Mandorlini idem. Il Verona dava segni di vita, per un tempo De Sanctis è stato più impegnato di Gollini. Nel sabato dei 38 anni di Totti, sostituito, hanno risolto la carabina di Florenzi, centrocampista enciclopedico, e il cannone di Destro, puntato da almeno quaranta metri. Nel basket, parleremmo di bombe da tre. Aperta parentesi: la martellata di Keita su Ionita era da rosso (non da Russo) e almeno da giallo la pedata di Campanharo a Pjanic. Chiusa parentesi.

Il turnover di Garcia è stato più massiccio di quello di Allegri. Come sarebbe finita, a Bergamo, se Denis avesse realizzato l’uno a uno? Era il 58’. Non lo so. Di sicuro, i campioni si sarebbero ributtati sotto. Di rigori pesanti, Buffon ne aveva già parato uno a Calaiò, la scorsa stagione, in Genoa-Juventus. Saranno pure dettagli, come canta l’Ornella, ma pesano quintali.

Nessuna sfida diretta alla sesta può decidere lo scudetto. Chissà come la Champions ne cucinerà il morale. Malmoe e Cska Mosca hanno stuzzicato l’appetito. Le resistenze domestiche non offrono plausibili riferimenti. Allegri, Garcia: sono proprio curioso.

Diffido…

Roberto Beccantini24 September 2014

Diffido sempre delle partite in cui il migliore in campo è il mio pupillo, Sebastian Giovinco. D’altra parte, natura non facit saltus. In Europa, soprattutto. Per questo, prendo su e porto a casa. Era il quinto catenaccio (su cinque) che la Juventus ha dovuto demolire. Chievo, Udinese, Malmoe, Milan, Cesena: l’ha fatto con il gioco che le è proprio, meno ossessivo dell’era Conte, più palleggiato, più circolare (lento, l’ho già usato).

Vidal su rigore, Vidal dal limite, Lichtsteiner su tocco di Padoin. Questa volta, zero palle-gol concesse: un tiro di Marilungo, dal limite, e stop. L’avversario più tosto toccava alla Roma. Ho sbirciato solo i gol: splendida la punizione di Pjanic. E così, dodici punti a testa; e nel saldo gol, Juventus 7-0, Roma 7-1. Anche la scorsa stagione, curiosamente, la squadra di Garcia aveva subìto la prima rete proprio a Parma.

Il calendario impone dosaggi oculati. Allegri ha due punti in più di Conte. Sabato, Roma-Verona e Atalanta-Juventus. Poi Champions: Juventus a Madrid, sponda Atletico; Roma a Manchester, sponda City. Dopodiché, il 5 ottobre a Torino, lo scontro diretto.

Sono curioso di vedere la Juventus alle prese con squadre più coraggiose. Al Cesena ha riservato il solito trattamento a base di possesso sfiancante (talvolta, anche per me) e triangoli fin troppi elaborati, come se le direttive aziendali fossero di andare in porta con la palla. Certo, l’impressione di forza che trasmette in Italia è straordinaria. Se mai, contro difese così blindate non sarebbe disdicevole, penso, qualche cross alto per Llorente, drasticamente bandito dal catechismo di Allegri.

Ventun partite allo Juventus stadium, ventun vittorie: la saga continua. A differenza di Benitez, bersaglio dell’ira napoletana, Allegri e Garcia brindano al turnover. Si avvicina, intanto, il rientro di Pirlo. Dolcetto o scherzetto?