Da squadra matura

Roberto Beccantini30 September 2014

Mi è piaciuta, la Roma di Garcia. Subito sotto – frittata di Maicon e rigore di Aguero – ha reagito alla grande. Traversa dello stesso Maicon, cucchiaio di Totti, occasioni sparse. Il Manchester City si è aggiuducato soltanto l’ultimo quarto d’ora, troppo poco per sedurre la dea delle mischie.

E’ finita, così, 1-1 come tra il City di Mancini e il Napoli di Mazzarri. Vero, gli sceicchi sono fermi agli ottavi dell’ultima edizione, ma la Roma era fuori da tre anni. E questa trasferta costituiva il primo, autentico, esame.

C’era curiosità, almeno da parte mia. Come c’è curiosità per la sfida che attende la Juventus. L’Atletico di Simeone non è un mazzo di assi, soprattutto ora che ha perso Diego Costa: rimane però, squadra fino al midollo. Con un’anima e un impianto che, spesso, lo portano al di là dei limiti. Prendere nota, please.

Garcia, lui, ha incartato Pellegrini: difesa compatta, palleggio raffinato e contropiede debordante, con la destra «storica» in evidenza (Maicon, Gervinho). Poi, ma solo poi, barricate. Premesso ciò, non ho capito le idee del mister cileno: formazione d’attacco e freno a mano tirato. Dopo il falso nueve, il falso coraggio.

Il gol di Totti, a 38 anni e tre giorni, ribadisce come la classe non abbia età, soprattutto a queste cadenze. Una squadra già grande avrebbe chiuso il match ben prima della tremarella finale. Una squadra che aspira a diventarlo, ed è già a buon punto, saprà lavorare sul «gap» che ancora le resta. Le assenze, da De Sanctis a Strootman, sono state mascherate dal fervore collettivo. Del City, mi ha deluso colui che ritengo il pistone cruciale: Yaya Touré. E’ da agosto che sbuffa come una pentola.

Teniamoci stretti questi segnali di arrosto. Dalla quarta fascia la Roma era precipitata nel girone di ferro. Ecco: proprio di coccio non mi sembra.

Occhio per occhio

Roberto Beccantini28 September 2014

Brutta settimana per chi ha scritto o parlato di «occhi». Ha cominciato Claudio Lotito, con la spregevole uscita sullo strabismo di Marotta; Lotito che fa coppia con Tavecchio e, insieme, fanno tanto Felpa e Louise. Poi è toccato a me, in risposta a un lettore. Occhio all’Inter, scrissi di mio pugno mentre mi facevo di niente. Morale: Inter uno Cagliari quattro. Non solo: tripletta di Albin Ekdal, 25 anni, svedese di scuola Juventus, improvviso tesoro dell’isola.

«Non abbiamo le palle», ha chiosato Mazzarri. Parole sante, anche se Mazzarri non è un tifoso: è l’allenatore. Occhio all’Inter. E a Zeman, ça va sans dire. Veniva da tre sconfitte, gioca sempre allo stesso modo. Frequenta gli eccessi. Offre emozioni a tutti: avversari compresi. Non avevo colto tracce del suo menu, in questi primi assaggi di campionato. L’espulsione, corretta, di Nagatomo ha spaccato l’ordalia, ma non è detto che in dieci si debba per forza perdere. Soprattutto se giochi in casa, hai appena pareggiato, ti chiami Inter e non hai di fronte Cristiano Ronaldo o Leo Messi.

Il 7-0 al Sassuolo e l’1-4 con il Cagliari decorano le pareti dell’ennesima pazzia. Già in avvio l’Inter era parsa molle e il Cagliari sul pezzo. Mazzarri rimpiange il turnover non fatto, ma siamo appena alla quinta o sbaglio? Il problema riguarda la personalità, ancora ballerina, della squadra (e sua, temo). Grave non aver capito la forza di Ibarbo. Fin dai tempi del Cellinismo duro e puro, il colombiano era capace di furibonde sgommate: avete presente lo strepitoso gol che firmò a Catania? Io sì. Zeman l’ha recuperato, non inventato; e l’Inter liberato.

Un anno fa, l’Inter aveva tredici punti, gli stessi della Juventus, due in meno della Roma capolista. Piano piano si sgonfiò. Mai, con Mazzarri, era stata umiliata così. Non so se sia tornata Zemanlandia: noi giornalisti siamo i primi a vivere di luoghi comuni. Addirittura più di lui, a volte.

Grandi firme

Roberto Beccantini27 September 2014

L’avversario più tosto, questa volta, toccava alla Juventus. L’Atalanta l’ha impaurita per una trentina di minuti e un episodio: il rigore (che non c’era) parato da Buffon a Denis. Palla nell’altra area, gol di Tevez, già autore del primo (e di quattro in totale). Poi i cambi, poi Morata: di testa. Ebbene sì, sono riapparsi i cross alti. Anche se Llorente continua a giocare spalle alla porta. Ordini di scuderia.

In campionato, l’andazzo è questo. Allegri e Garcia vincono sempre. Per la Juventus, un saldo-gol di 10-0; per la Roma, di 9-1. La stagione è lunga, piano con i paragoni, vecchi e nuovi. La prossima settimana si annuncia esplosiva: Manchester City-Roma, Atletico Madrid-Juventus e, last but not least, Juventus-Roma.

Colantuono le aveva tentate tutte: anche Boakye a uomo su Marchisio. Mandorlini idem. Il Verona dava segni di vita, per un tempo De Sanctis è stato più impegnato di Gollini. Nel sabato dei 38 anni di Totti, sostituito, hanno risolto la carabina di Florenzi, centrocampista enciclopedico, e il cannone di Destro, puntato da almeno quaranta metri. Nel basket, parleremmo di bombe da tre. Aperta parentesi: la martellata di Keita su Ionita era da rosso (non da Russo) e almeno da giallo la pedata di Campanharo a Pjanic. Chiusa parentesi.

Il turnover di Garcia è stato più massiccio di quello di Allegri. Come sarebbe finita, a Bergamo, se Denis avesse realizzato l’uno a uno? Era il 58’. Non lo so. Di sicuro, i campioni si sarebbero ributtati sotto. Di rigori pesanti, Buffon ne aveva già parato uno a Calaiò, la scorsa stagione, in Genoa-Juventus. Saranno pure dettagli, come canta l’Ornella, ma pesano quintali.

Nessuna sfida diretta alla sesta può decidere lo scudetto. Chissà come la Champions ne cucinerà il morale. Malmoe e Cska Mosca hanno stuzzicato l’appetito. Le resistenze domestiche non offrono plausibili riferimenti. Allegri, Garcia: sono proprio curioso.