Diffido…

Roberto Beccantini24 September 2014

Diffido sempre delle partite in cui il migliore in campo è il mio pupillo, Sebastian Giovinco. D’altra parte, natura non facit saltus. In Europa, soprattutto. Per questo, prendo su e porto a casa. Era il quinto catenaccio (su cinque) che la Juventus ha dovuto demolire. Chievo, Udinese, Malmoe, Milan, Cesena: l’ha fatto con il gioco che le è proprio, meno ossessivo dell’era Conte, più palleggiato, più circolare (lento, l’ho già usato).

Vidal su rigore, Vidal dal limite, Lichtsteiner su tocco di Padoin. Questa volta, zero palle-gol concesse: un tiro di Marilungo, dal limite, e stop. L’avversario più tosto toccava alla Roma. Ho sbirciato solo i gol: splendida la punizione di Pjanic. E così, dodici punti a testa; e nel saldo gol, Juventus 7-0, Roma 7-1. Anche la scorsa stagione, curiosamente, la squadra di Garcia aveva subìto la prima rete proprio a Parma.

Il calendario impone dosaggi oculati. Allegri ha due punti in più di Conte. Sabato, Roma-Verona e Atalanta-Juventus. Poi Champions: Juventus a Madrid, sponda Atletico; Roma a Manchester, sponda City. Dopodiché, il 5 ottobre a Torino, lo scontro diretto.

Sono curioso di vedere la Juventus alle prese con squadre più coraggiose. Al Cesena ha riservato il solito trattamento a base di possesso sfiancante (talvolta, anche per me) e triangoli fin troppi elaborati, come se le direttive aziendali fossero di andare in porta con la palla. Certo, l’impressione di forza che trasmette in Italia è straordinaria. Se mai, contro difese così blindate non sarebbe disdicevole, penso, qualche cross alto per Llorente, drasticamente bandito dal catechismo di Allegri.

Ventun partite allo Juventus stadium, ventun vittorie: la saga continua. A differenza di Benitez, bersaglio dell’ira napoletana, Allegri e Garcia brindano al turnover. Si avvicina, intanto, il rientro di Pirlo. Dolcetto o scherzetto?

La mossa

Roberto Beccantini21 September 2014

Succede anche da noi. Il Palermo era in difficoltà, e Beppe Iachini, il suo allenatore, senza un buon motivo che non fosse l’idea di farsi coraggio pensando follemente di sottrarne agli avversari, ha richiamato un centrocampista, Bolzoni, e inserito un centravanti, Belotti. Ce n’erano già due, di punte: Dybala e Vazquez. Era il 66’. Pure l’Inter ha inserito un terzo attaccante, Palacio, ma non è stata la stessa cosa.

Di scrivere che avrei espresso i medesimi concetti se, al 94’, Sorrentino non avesse tolto dall’incrocio dei pali la sgrullata di Osvaldo, non me la sento: la carne è forte, in questi casi, ma il risultato ancora di più. La mossa di Iachini, che in carriera fu un medianaccio mordi e (non) fuggi, ha giustificato il pareggio.

Mazzarri, reduce dalla campagna ucraina, deve a Vidic, provvidenziale in altre circostanze, la paternità del primo gol incassato in partite ufficiali. Ci sono stati poi altri due gol, il primo di Vidic, correttamente annullato per fuorigioco attivo di Osvaldo, e il secondo di Icardi, su sponda del serbo, revocato per un off-side di D’Ambrosio che il nuovo testamento, liberista fino al midollo, considera ininfluente. Un lettore, il gentile Ezio, mi ha comunicato le sue perplessità su quel «fuorigiochicidio» che sta devastando le pupille degli assistenti: avviso che lo spazio è tiranno, e un libro probabilmente non basterà.

Per la cronaca, e per la storia, la terna ha cancellato un’ipotesi di rete anche al Palermo, autore Belotti, per una spintarella (di luna) a Nagatomo: a funzioni invertite, in area, Valeri avrebbe concesso il rigore? La traversa di Vazquez, dopo il ricorso al tridente, ribadisce quanto la squadra sicula se la sia giocata alla pari. Dell’Inter non mi è piaciuto l’atteggiamento, pigro come a Torino. Male le punte, troppo statiche, e più Guarin (a modo suo) che Kovacic, artefice del pari. Gomme sgonfie. E, in generale, un passo indietro.

Un tuffo nel presente

Roberto Beccantini20 September 2014

Sequestro di partita. La Juventus ha spento il Milan come fosse un fiammifero. La scorsa stagione, a San Siro, vinse 2-0 ma per un tempo, almeno, aveva sofferto molto di più. Questa volta, ha dominato. Un solo brivido: il botta e risposta Buffon-Honda, prima palla gol della notte, la sola del Milan.

Lo scarto maschera una differenza schiacciante. Pure io, al posto di Inzaghi, avrei concesso il centro del ring agli avversari. Non mi sarei però limitato a rimbalzare da una corda all’altra. La Juventus non è la Lazio, e nemmeno il Parma. L’elogio della lentezza sciolto da Allegri, ne fa una paziente borghese che circonda e sfinisce i rivali. Il pericolo è lo specchio, il tocco in più, o eventualmente i riccioli del destino, come il palo di Marchisio.

Pereyra e Pogba si sono divisi la torta: all’argentino il primo tempo, al francese il secondo, con la ciliegiona dell’assist antologico a Tevez, marcato da Honda (!). Nessuna notizia del falso nueve: El Shaarawy spazzato via, Honda risucchiato, Ménez a piccole folate: da giallo il fallo su Pereyra e il tuffo in area, agli sgoccioli; Ponzio Rizzoli se n’è lavato le mani.

Il Milan non è riuscito a mettere il naso fuori, la Juventus non riusciva a mettere il becco dentro. Llorente, ormai, gioca spalle alla porta, un po’ pivot e un po’ vigile, visto il traffico di inserimenti che deve propiziare e/o incanalare. Tevez sembrava sulla luna, fino a quando non è atterrato, d’improvviso, sul passaggio di Pogba. In tre partite, il Milan ha preso sei gol, la Juventus zero. E’ un dato che uccide le statistiche relative all’attacco (Milan 8, Juventus 4).

Una curiosità. Pochi i cross alti: sia per il navarro, sia per Pazzini e Torres, nel finale. Catenaccio «y» torello: pensavo che le ruggini Champions avrebbero inciso di più.