Come all’oratorio

Roberto Beccantini22 February 2025

Ogni tanto il pallone torna «bambino». Lucca che a Lecce, renitente alle gerarchie e agli ordini, sequestra il rigore (e lo trasforma, per fortuna sua), come facevamo noi bambini all’oratorio, se e quando padroni dell’attrezzo. L’autogollonzo di Thiaw, investito dal rinvio di Maignan. La punizione battuta in fretta da Sanabria, per il sinistro improvviso di Gineitis. Milinkovic-Savic in versione Jashin, rigore murato (a Pulisic) e almeno tre tuffi di gran classe.

Naturalmente, diranno che bravo Vanoli e che pirla (il solito) Sergio. Brutta, bruttissima settimana: l’uscita dalla Champions, e questo k.o. che, dall’altra Champions, quella del campo, lo allontana. Due suicidi. Tutti e quattro in scena, i «ballerini» (Pulisic, Gimenez, Joao Felix, Leao): perché non a rate? Il harakiri di capitan Mike (che si riscatterà poi su Ricci e, soprattutto, su Vlasic) spacca subito l’ordalia e la indirizza verso un ritmo british assai. Diavolo all’arrembaggio, avversari in trincea. Leao è un mezzo fantasma, Gimenez o gol o zero, Joao (poco) Felix ruba spazio a Reijnders che, non a caso, pareggerà non appena uscito il Cassano minore.

Ricapitolando: la «garra» del Toro, le lune del Diavolo. Nessun dubbio che un punto a testa sarebbe stato verdetto più equo. Ma pochi dubbi, pochissimi, sul fatto che, se il Toro è una squadra con dei limiti, il Milan è un bouquet di limiti che qua e là fanno squadra. Dall’ultimissimo Pioli, non dai portoghesi.

Di fatica e di forza, l’Inter. Come gioco, meglio il primo tempo dello Stadium. Il Genoa di Vieira le resiste (e la stuzzica) fino al 76’. Angolo di Calhanoglu (un cambio, toh), testa di Lautaro, spalla di Masini. Prima, traversona di Barella e paratona dell’ex Martinez su Ekuban. Dopo, spazi e contropiedi, con Leali in vetrina. Ancora rotto Correa, ancora legnoso Taremi. Però 1-0.

Era d’estate, tanto tempo fa…

Roberto Beccantini20 February 2025

Le zolle che battezzarono la prima Europa di Ronaldo il Fenomeno, segnano il funerale della Juventus: dal 3-1 di settembre e il 2-1 dell’andata al 3-1 «supplementare» di un verdetto senza se e senza ma. E così, edicole in lutto: ciao Milan, ciao Atalanta, ciao Zebra. Negli ottavi di Champions non resta che l’Inter. Ops.

Con i campioni, domenica, primo tempo a rimorchio e secondo a cassetta. Con il Psv, primo dignitoso e secondo a catenaccio. Povero Motta: sfortunato all’inizio (Veiga k.o.) e agli sgoccioli (palo di Vlahovic chi?), responsabile di cambi tardivi e di sbalzi agghiaccianti, Savona a forte rischio rosso (94’, su De Jong) e Nico Gonzalez, mistero dei misteri, dentro fino alla fine (a proposito).

Qualche occasioncina qua e là, sì; e l’ultima di Kolo Muani in avvio di ripresa. Dopodiché, un disastro. Il controllo e il destro di Perisic (e due!); la zampatina di Saibari; il rasoio di Flamingo sguainato tra i peli di Di Gregorio (il migliore, comunque) e Gatti. Do you remember Riad?

Perisic, Saibari, Lang (soprattutto) sono esplosi alla distanza, mentre la Juventus è implosa. Eppure aveva pareggiato con un siluro di Weah. Weah, in perenne balia dei dribbling di Noa Lang. La squadra di Bosz è seconda in classifica. Non una combriccola di marziani, questo no, ma gente che, davanti al suo popolo, ha saputo ovviare ai propri limiti, aumentando la velocità di crociera e di palleggio e spingendo Locatelli e Koopmeiners a una gestione che la nuova dottrina avrebbe dovuto scongiurare.

Yildiz aveva inaugurato la saga dello Stadium: ammonito per simulazione e scomparso, letteralmente. Le staffette del Cipressone, solo polvere: né di stelle né da sparo. Salvo attimi randagi. E adesso il quarto posto diventa Fort Alamo.

Theo lo do io

Roberto Beccantini18 February 2025

Playoff di Champions, partite di ritorno. Fuori il Diavolo per suicidio. Fuori la Dea per sfinimento. Mi dicono che il Ranking sanguini…

** Milan-Feyenoord 1-1, andata 0-1 (Gimenez, Carranza). Stendere Theo su un lettino e strizzarlo: altro non resta. Subito in gol, con l’ex Gimenez, in controllo totale delle operazioni, anche per la formazione decimata degli avversari: ci sono tutti, i quattro «ballerini» (Pulisic, Gimenez, Joao Felix, Leao) e nessuno raddoppia su Rafa, cosa che gli titilla il tacco ma non la mira. Da Paixão, zero tiri. Poi, al 51’, Theo Hernandez, già ammonito, si tuffa in area. La caccia ai simulatori che Gasp aveva «sparato» dalle Fiandre si abbatte implacabile «via» Marciniak: secondo giallo, espulso. Sull’episodio, poco da aggiungere; sul francese, tanto. La partita slitta. I cambi di Sergio non aiutano. I batavi, che proprio a San Siro – nel maggio del 1970 – alzarono la loro unica Coppa dei Campioni, prendono coraggio e prendono campo, naturalmente. Scompare Leao, si dimette Joao Felix. Continua a non tirare, il Feyenoord, sino a che Carranza, un panchinaro, non inzucca un cross di Hugo Bueno. E’ il 72’. Ci sarebbe ancora tempo, ma da un pezzo, in dieci, non c’è più il Milan.

** Atalanta-Bruges 1-3, andata 1-2 (Talbi, Talbi, Jutglà, Lookman). Chapeau alla squadra di Hayen. Affianca il pressing e i reticolati a transizioni da «showtime», come documentano la doppietta di Talbi, il sinistro di Jutglà e i ricami di Jashari. Un palo di Zappacosta e un salvataggio di Mechele introducono lo 0-3: un segno del destino? Forse sì, ma senza esagerare. Da mesi appare un po’ sulle gambe, la Dea, scossa dall’ingresso di Lookman: gol e rigore parato. Il portiere, già: Mignolet ne sventerà altri, di pericoli. Il rosso finale a capitan Toloi è il tappo amaro e isterico di una bottiglia che Gasp immaginava di champagne. C’est la vie.