Chiusi a chiave

Roberto Beccantini8 April 2025

Sarà la storia a pesare l’1-1 del Dall’Ara. La cronaca racconta di una «meta» di Anguissa alla Jonah Lomu (via, uno, via due, via il portiere: avanti popolo) e di un do di tacco di Ndoye, al culmine di un ricamo Miranda-Odgaard. Il tutto, dentro i confini di un primo tempo equilibrato e di un secondo che ha visto il magnifico Bologna di Italiano (o il Bologna del magnifico Italiano: scegliete in letizia) spingere il Napoli alle corde di un catenaccio da polvere d’archivio, come se il precettore non fosse il Conte Dracula – squalificato e immanente, comunque – ma chi so io…

E così, lassù, tutto è «cambiato» perché nulla cambiasse: i tre punti della riluttante e ruttante Inter di Parma tali restano. Mentre la Dotta, quarta, si avvicina alla Dea, terza, e stacca Madama, quinta. A gennaio, Kvara aveva scelto Parigi, e De Laurentiis lo sostituì con Okafor, nel tripudio dei «prestazionisti» (evviva, un dribblomane in meno) e fra i moccoli dei «giocatoristi» (e adesso, senza il georgiano?).

Italiano adora il pressing himalayano, a costo di lasciare il campo-base scoperto. Non che Orsolini, Dallinga, Ndoye e c. avessero fatto sconquassi, ma a forza di lavorare di piccozza e arrampicarsi hanno raggiunto la vetta. Vi raccomando la lotteria degli sgoccioli: di qua, un gran balzo di Scuffet, al battesimo, su capocciata di Holm, e la foga sbirula di Castro a fil di palo; di là, i guanti di Ravaglia su una carambola di Olivera (da una punizione di Raspadori).

L’idea di Lukaku «distributore» ha retto l’impalcatura del Napule, costretto poi a trascolare, per infortunio, da un peso massimo come McTominay a un peso piuma come Gilmour. Mi ha sorpreso, di «Andonio», un calo così compulsivo in assenza d’Europa. Al netto, sia chiaro, dei meriti indiscussi di un Bologna da Champions. Quanto sarebbe piaciuto al Civ.

Pari, chi era costui?

Roberto Beccantini6 April 2025

Thiago o non Thiago, Igor o non Igor siamo sempre lì. Gran possesso palla – e, per una volta, anche a buon ritmo – ma centravanti, zero; e tiri veri, il minimo sindacale. L’1-1 dell’Olimpico non va comunque disprezzato, al netto dell’ennesima rimonta subita. Veniva, la Roma, da 7 successi. Madama l’ha presa alla gola, ma non con la forza che sarebbe servita per disarmarla. Sì, il superbo balzo (con traversa) di Svilar sulla zuccata di Nico; il bel gol di Locatelli, al volo, dal limite. Ma pure una «parata» di Kalulu su Cristante e un palo esterno di El Shaarawy.

Per un tempo, Juventus padrona. Aggressiva, meno orizzontale, con il tridente difensivo – Kalulu, Veiga, Kelly – a ostruire i valichi. Sor Claudio aveva rimescolato le carte e puntato sul lancio per Dovbyk e le di lui sponde. Alla ripresa, però, ha tolto Hummels e sdoganato Shomurodov. Un difensore in meno, un attaccante in più. La mossa ha prodotto una scossa; la scossa, il pareggio. Angolo di Soulé, testa di Ndicka, mezzo miracolo di Di Gregorio, tap-in dell’uzbeko. Da lì in poi, la Juventus ha ripreso a spingere l’avversario alle corde, con Nico libero d’attacco, Weah, Thuram e c. pronti a inserirsi. Due i problemi: l’ultimo passaggio, che sta al calcio come il titolo all’articolo, e la «lecca», da Vlahovic a Kolo Muani. A disposizione, sempre, ma in area né padroni né predoni. E la maglia che indossano glielo imporrebbe.

Soulé e Yildiz? Molto terzini, poco «dieci». C’erano assenze su entrambi i fronti, da Dybala a Gatti (sic), la partita è filata via guerriera e corretta, senza picchi per i quali spremersi d’incenso. Ranieri e Tudor sono traghettatori: l’uno da novembre, l’altro da fine marzo. La Roma non è più un branco disperso; la Juventus, ancora un’«incompiuta» che tenta di uscire dalle mezze stagioni. Queste sono. E la classifica, dal terzo al sesto posto un gran bordello.

Non dire gatto…

Roberto Beccantini5 April 2025

Sembrava fatta. D’accordo, non proprio uno 0-2 placido come il Don del romanzo di Å olochov, viste le paratissime di Sommer su Bonny and Man, ma la rete di Darmian, già decisivo a Venezia, e il gollonzo di Thuram – con sospetti di mani-comio spazzati dal Var – avrebbero dovuto costituire una sentenza, non un indizio. Povero Parma, mormorava il Tardini, avvilito: anche alla luce degli sprechi del rientrante Lautaro.

Invece. Ancora una volta i cambi hanno premiato gli avversari e frenato i campioni. L’ex Chivu ha rivoltato l’assetto: dentro Leoni, Bernabé, Pellegrino. E, strada facendo, persino Ondrejka. Squalificato Inzaghino, toccava a Farris: fuori Bastoni, contuso, poi Dimarco e sull’1-2, per turnover, addirittura Calhanoglu e il Toro. Morale: sinistro filante di Bernabé, dal limite; rasoiata di Ondrejka, deviata da Acerbi e Darmian, a parziale risarcimento del destino.

Correa, Frattesi, Zalewski e l’ultimo arrivato, Arnautovic, non riuscivano a medicare quel ventello di nulla – e, soprattutto, l’uno-due in nove minuti, dal 60’ al 69’ – per quanto il Parma si fosse ritirato nei suoi appartamenti. Non solo: in contropiede, al 91’, era Pellegrino, classe 2001, centravanti di ante e di garra, a mangiarsi il 3-2.

In vista di Bologna-Napoli, lunedì, e del Bayern decimato di Champions, martedì, i nodi del calendario intasato esigono dazi trumpiani. Era reduce, l’Inter, dalle sofferenze finali con l’Udinese e dall’1-1 di coppa con il Milan, strappato in rimonta. Eccezione alla regola che la vuole spesso calante: per l’età, per il logorio, per le staffette. Naturalmente, complimenti a Chivu per essersi corretto e ai suoi per averci creduto. Rimane il forte sentore di un successo buttato. Ai tomi dei dotti il calcio preferisce, non di rado, le ricette ruspanti del vecchio Trap: non dire gatto se non ce l’hai nel sacco.