Dattilo-scritto

Roberto Beccantini18 December 2013

L’associazione a delinquere ha resistito anche alla prova del processo d’Appello, al di là degli sconti, a Moggi and friends, dovuti alle frodi prescritte. In realtà, del misto «mafia-P2» cucinato da Narducci non è rimasto molto: gli iniziali 48 indagati si sono ridotti a una decina tra cui i tre arbitri condannati. Un po’ pochi, forse, per disporre di campionati interi (e comunque non alterati: Casoria dixit).

Tra costoro, credo che una menzione particolare la meriti l’ex arbitro Dattilo, condannato per aver espulso, su segnalazione di un guardalinee mai indagato, un giocatore che aveva colpito con un pugno un avversario e per aver ammonito, in maniera fraudolenta, secondo l’accusa, tre calciatori diffidati per non farli giocare la domenica successiva contro la Juventus. Solo che non erano affatto diffidati e, dunque, giocarono regolarmente.

La parte del leone sembrerebbe che continuino a farla le famigerate schede svizzere, nonostante gli avvocati difensori si siano affannati a convincere i giudici che, al netto dello spionaggio «elvetico», sarebbe bastato rincorrere conversazioni banalmente «italiane» per rendersi conto dell’aria che tirava, in quegli anni, attorno alla cosiddetta «cuopola». Lo documenta l’ultima scoperta del consulente di Moggi, Penta: il colloquio fra Racalbuto e Meani trascurato o sfuggito ai radar dei pm.

Per Bergamo è stato disposto l’annullamento della condanna, con rinvio a nuovo processo, per difetto di possibilità di difesa. Rimane il mistero sulle ragioni che, a parità di accuse, abbiano portato all’assoluzione di tutti gli arbitri che avevano scelto il rito abbreviato.

La «mia» guerra per bande esce sbriciolata anche dall’Appello. I dubbi non scacciano il rispetto, e viceversa. Sono curioso di leggere le motivazioni. Molto curioso. E poi la Cassazione.

Casa, dolce casa

Roberto Beccantini15 December 2013

Casa, dolce casa. Dopo la tormenta e i tormenti di Istanbul, alla Juventus basta respirare l’aria del suo diletto cortile per tornare a sembrare il Real Madrid; Tevez, Cristiano Ronaldo; Vidal, con le sue finte, Sneijder; e Pogba, Pogba: l’originale. Il Sassuolo, che aveva raccolto preziosi pareggi a Napoli e a Roma, viene allegramente raso al suolo.

Non è una novità, nella storia e per la cronaca. La Juventus vampira e la Juventus donatrice di sangue. Il Tevez adrenalina in campionato (prima tripletta, dieci reti in tutto) e il Tevez camomilla in Champions (ultimo gol, aprile 2009). Sono gli eccessi che hanno reso il calcio universale e la Signora un caso freudiano.

Lo spirito di Pirlo ha occupato il Bosforo, non certo lo Juventus stadium. La contabilità, nel frattempo, s’ingrossa: otto vittorie consecutive, 19 gol fatti e zero subìti. Alla vigilia, il gioco delle parti aveva spinto Conte a sorridere di una parolina: «fallimento». Sbaglia, il mister, quando celia sull’obbligo di dover vincere la Champions. E quando mai, con questa rosa, gli era stato chiesto? Più terra terra, gli avevano fatto notare che, con tutto il rispetto per il Galatasaray di Mancini, e al netto della neve «alla turca», uscire dalla fase a gironi con una vittoria in sei partite (e quell’unico successo, con il Copenaghen a Torino), non è stato il massimo. Tutto qui.

L’obiettivo (due b o una?) era, e rimane, il terzo scudetto di fila. L’Europa League è una tassa più facilmente detraibile della Champions. Vedremo. La butto lì: Mourinho, l’anno del triplete interista, alternò il 4-2-3-1 di coppa al 4-4-2 di campionato. Il 3-5-2 d’ordinanza non si discute. La difesa a quattro ha portato (abbastanza) bene con il Real. Fra poco c’è la sosta. Prima o poi rientrerà Pirlo. Perché non giocare un po’ a scacchi?

Cvd

Roberto Beccantini11 December 2013

Da Alessandro Calori a Wesley Sneijder, da Perugia a Istanbul, dal nubifragio alla tormenta di neve. Il destino sta ridendo a crepapelle. La Juventus gli ha dato una mano: e che mano. Non ci si riduce a giocarsi tutto alla roulette dell’ultimo quarto d’ora dell’ultima partita in casa dell’avversario. Non poteva che essere la tattica di Mancini, subentrato in corsa proprio a Torino. Non doveva essere quella di Conte.

Ha pagato, la Juventus, l’1-1 di Copenaghen e il 2-2 casalingo con i turchi. Quando su sei partite ne vinci una, hai voglia di gridare al fato, all’episodio. Per quello che è affiorato anche all’arena del Galatasaray, l’Europa è proprio un’altra cosa. Il fango c’era per tutti, e il Gala doveva vincere, addirittura. Senza Pirlo, capisco un calo di geometrie, non di aggressività.

Cvd: come volevasi dimostrare, come volevasi Drogba. Tra andata e ritorno, un gol e due assist di testa, compreso quello che ha armato il diagonale di Sneijder. Per tacere della paratona con la quale Buffon ne aveva smorzato un destro a colpo sicuro. Mi ha deluso Llorente: non ha azzeccato una sponda che è una.

Tra ieri e oggi ricordo una mezza palla gol del navarro contro tre del Galatasaray. Tevez, in Champions, non segna dal 7 aprile 2009. Solo un caso? Continuano a convivere due Juventus: la «Draculessa» che vampirizza il campionato e la signorinella pallida che, all’estero, molti prendono a ceffoni. C’è poi il solito discorso del gioco, del 3-5-2, di un Conte al quale non si chiede di alzare la Champions ma almeno di non uscire subito. Inoltre: basta con ‘sta storia dei due settimi posti, basta.

E così: Juventus in Europa League, la cui finale – ironia della sorte – avrà luogo a Torino, e Felipe Melo negli ottavi di Champions. Aveva ragione Buffon: i tifosi non fanno gol. Qualcun altro, sì.

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