Manitona del Bologna

Roberto Beccantini16 March 2025

Va, Bologna, sull’ali dorate: Orsolini, Ndoye e ci metto pure Cambiaghi, infortunato, recuperato e sempre prezioso. Cinque a zero alla Lazio, sorpasso e quarto posto Champions. Da Motta a Italiano: gli allenatori seminano e passano, Sartori resta. E si vede. E si sente. Immagino, dall’aldilà, Dino Sarti: «Butta la pasta mamma, prepara i panini. Gioca il Bologna, non posso mica far tardi, eh».

D’accordo, gli aquilotti di Baroni, molto cotti, avevano nelle gambe le ruggini europee del Viktoria Plzen, ma insomma: primo tempo di sostanziale equilibrio, rigato dal gol di Odgaard, su cross teso di Miranda. In avvio di ripresa, il finimondo: 48’, imbucata di Ndoye per Orsolini, scavetto e olè; 49’, discesa di Ferguson, tocco a Ndoye, destro implacabile. Doppietta nel giro di un minuto. Gioco, partita, incontro.

Domina e gongola il pressing feroce di una squadra in salute (e, per la cronaca, semifinalista di Coppa Italia, con l’Empoli). Una squadra che crede in quello che fa, per come glielo racconta il suo domatore. Il palo di Zaccagni è il sussulto estremo di un orgoglio ormai lacerato. L’ultima fetta di torta viene spazzolata da Castro, imbeccato da un assatanato Pobega, e da Fabbian, di testa, su cross di Miranda, terzino vorace, al culmine di un ricamo Dominguez-Cambiaghi. Il Dall’Ara canta. Dimenticavo: Pobega, Dominguez, Cambiaghi, Fabbian, tutti panchinari. Sochmel.

Ghigliottina Real

Roberto Beccantini13 March 2025

Dicono che la storia si ripeta sempre due volte: la prima in tragedia (San Siro, 2016) e la seconda in farsa. Chi lo racconta al Cholo? Dai 32 secondi di Gallagher ai «due tocchi» varisti di Julian Alvarez, alla traversa di Llorente e alla quasi parata di Oblak su Rudiger. I rigori, ancora e sempre loro, questi sgherri tribali e fatali ai quali il calcio ha affidato, in caso di pareggio a oltranza, l’estasi dei vincitori e il tormento dei vinti.

Real, dunque. E, quindi, Ancelotti. Al Bernabeu era finita 2-1; al Metropolitano, 1-0. Gallagher subito, su palla radente di De Paul (quantità preziosa), e poi una lunga partita a sacchi, con i Re bianchi gigioneggianti e incapaci di forzare il muro dell’Atletico. Sia chiaro: un muro mobile, Griezmann a distribuire le munizioni, Gallagher a pompare e Alvarez, ignaro dell’epilogo che gli avrebbe riservato il destino, a tirare. Palle-gol, no. Ma di Oblak non ricordo parate; di Courtois, sì.

Strana, molto strana, la castità balistica del Real. Mai un lampo, neppure sul penalty che Mbappé, al 70’, conquistava alla Mbappé, sterzata, contro-sterzata e Lenglet penzolante dalla camiseta. Fossimo stati a Cape Canaveral, avrebbero tutti applaudito il missile di Vinicius. Ma eravamo in uno stadio.

Vinicius, già. Disarmato e disarmante, come e più di Rodrygo. Di Mbappé, quell’azione lì e il resto, fuffa. Della «triade», il meno vago è stato Bellingham, tenore e corista in base alle esigenze (tante, troppe). Meritavano di più, i reticolati e le imboscate dell’Atletico. Ma il Real è il Real. Carletto aveva puntato sui 39 anni di Modric, poi escluso (come Vinicius). Le forze, stremate, hanno orientato le staffette e le cadenze. Il torello dei detentori, su «procura» dei rivali, toccava il 62%, senza però allontanare gli sbadigli. Sino alla ghigliottina del dischetto. Che non guarda in faccia nessuno. Se mai, ti controlla i piedi.

Anfield-Elysées

Roberto Beccantini12 March 2025

Cameriere, Can-Can. Dallo 0-1 del Parco (Elliott all’87’) allo 0-1 di Anfield (Dembélé al 12’) il Paris Saint-Qatar – l’ex harem di Mbappé, ricordate? – elimina il Liverpool ai rigori e si qualifica in bellezza per i quarti di Champions. Nessun dubbio che, fra andata e ritorno, meglio abbia giocato e, dunque, più abbia corteggiato il destino, ammesso che esista. Il bottiglione di champagne l’ha stappato Gigio Donnarumma, in versione Wembley, ma onore e gloria a Luis Enrique, allenatore vertical, facitore di giovani e calcio rock and ball.

Che rumba, pure a Liverpool. Non però a senso unico come mercoledì scorso. Un tamponamento tra Konaté e Alisson, che ne fu l’eroe indiscusso, spalanca la porta a Dembélé-Dembappé. I ritmi sono folli, pressing contro pressing, Salah (da 5 in pagella) se ne mangia un paio, Kvara pennella (e agli sgoccioli sarà anche valoroso terzino). I Reds arrembano a testa bassa, la bava ai tacchetti, baionette di qua, baionette di là, tackle selvaggi, con Donnarumma sugli scudi non meno del suo collega. E di Marquinhos. E di Vitinha.

Costrettovi, il Paris si difende: che discorsi. Siamo ad Anfield. Mica alla convenzione di Ginevra. Appena può, sventaglia il contropiede che, per un tempo, crea non lievi triboli a Van Dijk e c. Nella ripresa, la Slot-machine moltiplica le folate, entra una torre (Darwin Nunez), ma il Faraone e Luis Diaz non trovano pertugi. E a Dembélé nei supplementari, dominati dai francesi, li nega Alisson: e chi, se no? Ribadisco: il tie-break del dischetto bacia i più bravi (globalmente), non solo i più freddi. Li premia attraverso la mira di Vitinha,
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