EncefaloMotta piatto

Roberto Beccantini16 March 2025

EncefaloMotta piatto. Dopo le 4 pere della Dea, le 3 della Viola. A zero, sempre. Addio quarto posto, per ora, addio zona Champions. Direte: la Fiorentina ha fatto la «solita» partita della vita. No, assolutamente: ha fatto «una» partita, e basta. Con una logica, però. E, dunque, con un’idea. A differenza della Juventus. Uno sfacelo. Non credo che la rosa giochi contro Thiago e Thiago, per come la disorganizza: vogliamo parlare dei cambi?, contro la rosa. C’erano una volta falò di gioco, scintille sparse (di Mbangula, di Savona). Una volta. Oggi solo cenere, solo mozziconi. Dal mercato pesante di Giuntoli alle scelte del Mister.

Educato padrone di casa, Palladino ha accolto la Goeba regalandole il possesso, cosa di cui va ghiotta: nonostante le rughe, nonostante gli equivoci. E poi ha atteso un quarto d’ora scarso. Angolo, mischia, sinistro di Gosens. Tre minuti, Madama discinta e sbilanciata, da Fagiolino a Mandragora, diagonale radente. Elementare, Commisso. Et voilà.

Voce dal loggione: ma la Fiorentina non aveva giocato in Conference? Certo che aveva giocato in Conference. Ma non uno, da Locatelli in su e in giù, che l’abbia notato: e, magari, sfruttato. L’ultima stampella era Thuram: perché non lo impiega mai? L’ha impiegato. E se l’attacco ruota attorno ai sentieri di un texano, poveri i cow boy. Bocciato Gatti, perso Kolo, dispersi Vlahovic e Yildiz, si recitava a braccio. Senza, però, un Caminiti che inforcasse la cornetta e raccontasse di baffi circassi e di Furiafurinfuretti. Se mi abolisci il ruolo fisso, offrimi almeno uno straccio di eclettismo. Per carità.


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Manitona del Bologna

Roberto Beccantini16 March 2025

Va, Bologna, sull’ali dorate: Orsolini, Ndoye e ci metto pure Cambiaghi, infortunato, recuperato e sempre prezioso. Cinque a zero alla Lazio, sorpasso e quarto posto Champions. Da Motta a Italiano: gli allenatori seminano e passano, Sartori resta. E si vede. E si sente. Immagino, dall’aldilà, Dino Sarti: «Butta la pasta mamma, prepara i panini. Gioca il Bologna, non posso mica far tardi, eh».

D’accordo, gli aquilotti di Baroni, molto cotti, avevano nelle gambe le ruggini europee del Viktoria Plzen, ma insomma: primo tempo di sostanziale equilibrio, rigato dal gol di Odgaard, su cross teso di Miranda. In avvio di ripresa, il finimondo: 48’, imbucata di Ndoye per Orsolini, scavetto e olè; 49’, discesa di Ferguson, tocco a Ndoye, destro implacabile. Doppietta nel giro di un minuto. Gioco, partita, incontro.

Domina e gongola il pressing feroce di una squadra in salute (e, per la cronaca, semifinalista di Coppa Italia, con l’Empoli). Una squadra che crede in quello che fa, per come glielo racconta il suo domatore. Il palo di Zaccagni è il sussulto estremo di un orgoglio ormai lacerato. L’ultima fetta di torta viene spazzolata da Castro, imbeccato da un assatanato Pobega, e da Fabbian, di testa, su cross di Miranda, terzino vorace, al culmine di un ricamo Dominguez-Cambiaghi. Il Dall’Ara canta. Dimenticavo: Pobega, Dominguez, Cambiaghi, Fabbian, tutti panchinari. Sochmel.

Ghigliottina Real

Roberto Beccantini13 March 2025

Dicono che la storia si ripeta sempre due volte: la prima in tragedia (San Siro, 2016) e la seconda in farsa. Chi lo racconta al Cholo? Dai 32 secondi di Gallagher ai «due tocchi» varisti di Julian Alvarez, alla traversa di Llorente e alla quasi parata di Oblak su Rudiger. I rigori, ancora e sempre loro, questi sgherri tribali e fatali ai quali il calcio ha affidato, in caso di pareggio a oltranza, l’estasi dei vincitori e il tormento dei vinti.

Real, dunque. E, quindi, Ancelotti. Al Bernabeu era finita 2-1; al Metropolitano, 1-0. Gallagher subito, su palla radente di De Paul (quantità preziosa), e poi una lunga partita a sacchi, con i Re bianchi gigioneggianti e incapaci di forzare il muro dell’Atletico. Sia chiaro: un muro mobile, Griezmann a distribuire le munizioni, Gallagher a pompare e Alvarez, ignaro dell’epilogo che gli avrebbe riservato il destino, a tirare. Palle-gol, no. Ma di Oblak non ricordo parate; di Courtois, sì.

Strana, molto strana, la castità balistica del Real. Mai un lampo, neppure sul penalty che Mbappé, al 70’, conquistava alla Mbappé, sterzata, contro-sterzata e Lenglet penzolante dalla camiseta. Fossimo stati a Cape Canaveral, avrebbero tutti applaudito il missile di Vinicius. Ma eravamo in uno stadio.

Vinicius, già. Disarmato e disarmante, come e più di Rodrygo. Di Mbappé, quell’azione lì e il resto, fuffa. Della «triade», il meno vago è stato Bellingham, tenore e corista in base alle esigenze (tante, troppe). Meritavano di più, i reticolati e le imboscate dell’Atletico. Ma il Real è il Real. Carletto aveva puntato sui 39 anni di Modric, poi escluso (come Vinicius). Le forze, stremate, hanno orientato le staffette e le cadenze. Il torello dei detentori, su «procura» dei rivali, toccava il 62%, senza però allontanare gli sbadigli. Sino alla ghigliottina del dischetto. Che non guarda in faccia nessuno. Se mai, ti controlla i piedi.