Ai vostri posti…

Roberto Beccantini18 August 2023

Pazienti impazienti, ecco il campionato. Con il suo ghigno sinistro, i suoi lombi matronali, la sua reputazione da donna di facili costumi. Facili, ma irresistibili. Chiedo umilmente scusa agli appassionati di atletica, magistra vitae, se il decollo coincide con i Mondiali di Budapest. Ma così è.

La griglia è ormai una terapia della Clinica, anche se il mercato chiude solo il 1° settembre e, dunque, gli abbagli rischiano di superare di gran lunga gli azzardi. E’ stata l’estate del Lukaku fuggitivo, delle razzie arabe, dei ricatti e dei riscatti. Si riparte dal Napoli campione, da Garcia e non più da Spalletti, ct obtorta clausola; da un’Inter dall’attacco-cantiere (per ora) e un Milan che Sacchi ha bacchettato per eccesso di stranieri. Con la Lazio che Sarri dovrà far correre su due binari, e non più su uno; con la Roma cui Mou ha ribaltato il centrocampo, in attesa di un traliccio. Con la Juventus fuori dall’Europa (per me, uno svantaggio: toglie «sfiatatoi»), in balia del minimalismo di Allegri e le «visioni» di Giuntoli, chiamato a risparmiare senza deprimere le ambizioni. L’Atalanta traslocata da Hojlund a Scamacca e con De Ketelaere in versione Ilicic (ennesima sfida del Gasp). La Fiorentina a caccia di un equilibrio che Italiano baratta spesso con il coraggio. Un Toro bifronte: Juric mai contento, Cairo sempre. Un Genoa scoppiettante, da Gilardino in panca a Retegui in area. Il Monza del dopo Berlusconi. E il Sassuolo in balia di Berardi, l’ultima bandiera.

Nel dettaglio: 1) Napoli. 2) Inter. 3) Milan; 4) Juventus. 5) Lazio. 6) Roma. 7) Atalanta. 8) Fiorentina. 9) Torino. 10) Bologna. 11) Sassuolo. 12) Udinese. 13) Monza. 14) Salernitana. 15) Cagliari. 16) Genoa. 17) Empoli. 18) Lecce. 19) Verona. 20) Frosinone.

Del e dal Var avremo i colloqui. Tolleranza zero con le proteste. Insomma, il solito paraponzi-ponzipò. Siete pronti? La vostra grigliata?

Rivera, golden 80

Roberto Beccantini18 August 2023

In un turbinio di pallottole fra ex sposi (Roberto Mancini e Gabriele Gravina; Aurelio De Laurentiis, Luciano Spalletti e Gravina), Gianni Rivera compie 80 anni. Come ho scritto su «Sport del Sud», si parla di un simbolo, di un microfono capace di «liberare» un anello pericolante di San Siro, il pomeriggio della Stella (6 maggio 1979, Milan-Bologna 0-0). Di un parallelo che ci divise in due come la Corea, fra il Nord difensivista di Gianni Brera e il Sud napoletano degli offensivisti (Antonio Ghirelli, Gino Palumbo).

L’Abatino breriano, appunto, il «Tocco in più» di Oreste Del Buono. Il secondo pallone d’oro della nostra bacheca (dopo l’oriundo Omar Sivori: era il 1969 e Gigi Riva, beffato, s’infuriò). L’essenza circense del compromesso storico, la staffetta messicana con Sandro Mazzola che ci obbligò a schierarci, o di qua o di là, o per Sua Leggerezza o per il Baffo. Il piatto destro ai tedeschi nel partido del siglo, i sei minuti della finale con il Brasile di Pelé (al posto di Roberto Boninsegna, però), ennesima miccia dell’ennesima zuffa.

Il golden boy. Intervistato in tram da Beppe Viola, torchiato a tavolino da Oriana Fallaci. Battesimo ad Alessandria (a 15 anni e rotti), poi solo Milan: dal 1960 al 1979. Nel dettaglio: 3 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe, 1 Coppa Intercontinentale (strappata all’Estudiantes di Carlos Salvador Bilardo in una notte di pestaggi sanguinari e sistematici, ben riassunta dagli zigomi di Nestor Combin). In azzurro, campione d’Europa nel 1968 e vice campione del Mondo nel 1970.

Per dirla seraficamente con Vujadin Boskov: vedeva autostrade dove gli altri solo sentieri. Numero dieci, di scuola Schiaffino, non leader subito, ma piano piano,
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Il resto, Mancio

Roberto Beccantini13 August 2023

Altro che clamoroso al Cibali. Clamorosissimo. E proprio nella giornata mondiale dei mancini. Da oggi, Roberto Mancini non è più il ct della Nazionale. Ha rassegnato le dimissioni, spiazzando tutti. Era in carica dal 14 maggio 2018. Porta con sé il titolo europeo del 2021, la sconfitta di Palermo con la Macedonia del Nord, costata l’assenza al Mondiale qatariota del 2022, seconda consecutiva sul campo, a ruota della «Corea» svedese, quando al governo c’era Carlo Tavecchio e in panchina Gian Piero Ventura. Più due terzi posti in altrettante edizioni di Nations League. Più una striscia-record di 37 gare utili.

Alzi la mano chi. La mia, per pudore, viaggia rasoterra. Roberto venne scelto da Roberto Fabbricini, all’epoca commissario straordinario delle Federazione. Gabriele Gravina non è che se ne sia mai invaghito ma l’aria di Wembley, figuriamoci. Siamo tutti alla caccia del detonatore: lo sventramento dello staff proprio in coincidenza con la qualifica di coordinatore supremo? Le voci di un Gravina fin troppo bonucciano (pur di garantire un posto al Leonardo trombato dalla Juventus)? Una mega proposta dall’Arabia? Il saccheggio della sua Camelot sarebbe, al momento, l’ipotesi più romantica; la tentazione saudita, la più prosaica.

Roberto va per i 59, che compirà il 27 novembre. E’ stato un fuoriclasse sottovalutato e un allenatore sopravvalutato. Capace, da ct, di esprimere il meglio (e, alla frutta, l’ovvio). Ha ridato spirito e gioco a un volgo disperso. Ha riavvicinato il popolo all’azzurro. Ha avuto intuizioni coraggiose, da Nicolò Zaniolo a Mateo Retegui. Ha pagato la carenza di centravanti di peso, ruolo sequestrato dagli stranieri. E’ caduto sulle bucce di gratitudine fatali, a volte, più di certi pugnali. Si è arreso alla più elementare delle leggi: la differenza dei giocatori.
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