Morsi di serpente

Roberto Beccantini9 May 2023

Sembravano morsi di un serpente spuntato all’improvviso: il destro pallottola di Vinicius, su splendido ricamo Camavinga-Modric-Camavinga, con il Real soffocato e basso, molto basso. Il destro proiettile di De Bruyne, su tocco di Gundogan, con il City un po’ sulle sue, più combattuto che combattivo. E così, 1-1 al Bernabeu. Champions, semifinale di andata: si decide all’Etihad.

L’attesa era globale e spasmodica. Guardiola è un pittore, Ancelotti un arredatore. I ritmi, lenti, hanno favorito la nitidezza dei tocchi, non già la tensione salgariana del romanzo. Courtois ha parato all’inizio (su De Bruyne, su Rodri, su Grealish, poi ancora sul belga), Ederson alla fine (su Benzema e Tchouaméni). Tre cambi, il primo all’81’, Carletto; zero, Pep: honi soit qui mal y pense.

Nel mirino, Benzema e Haaland. Da guerre stellari a scaramucce di cerbottane. Nel dettaglio: il pallone d’oro sempre in partita, anche se spesso gregario; il centravanti-ciccia, sistematicamente ingabbiato e anticipato. Come se il miedo escenico ne avesse smagrito il furore; e come se l’orchestra, afferrato lo «zeitgeist» (spirito del tempo), si fosse rassegnata.

Sono esplosi, qua e là, duelli rusticani: Carvajal (con botte) e Grealish, Camavinga e Bernardo Silva, Walker e Vinicius. Ecco: i migliori, per me, sono stati Vinicius, Camavinga, Modric, De Bruyne, Gundogan, le dorsali difensive e i portieri.

Ancelotti, nervoso, era partito con tre punte, Rodrygo incluso. Guardiola aveva rinunciato a Mahrez e Foden. La trama ci ha consegnato una notte tiepida, dall’arbitro dolcemente casalingo a un rispetto che, spesso, disarmava gli arsenali. Alle ordalie della stagione scorsa sì che ci ubriacammo. Il risultato è lo specchio di un Dorian Gray che non vuole invecchiare né abdicare. Resto fedele al mio pronostico: Manchester. E domani sera, derby.

Però quel ragazzo…

Roberto Beccantini7 May 2023

Conoscere il menu non significa conoscere il risultato. La cucina della Dea non è più piccante come ai tempi del Papu e di Ilicic, anche se Gasp sa calibrare i piatti. La Juventus è un’avventura di passato, agitata dalle bollicine di Iling Junior, vendemmia del 2003, un vino che Max l’enologo suggeriva da mo’. E’ stato, così, un mezzogiorno di bollori e bolliti, con i camerieri (De Roon ed Ederson, Locatelli e Fagioli) che tardavano a servire: un po’ per la ressa, un po’ per l’abbiocco.

Insomma: sapevo cosa avrei ordinato e cosa avrei mangiato. Poi c’è il conto, che tra inflazione, azione e reazione può variare, può impennarsi. Se l’Atalanta non è stata fortunata (pali di Scalvini all’inizio e di Zappacosta alla fine), Madama, nello scegliere le pietanze, ha avuto più occhio, più gusto. Alludo al gol con il quale Samuel Iling Junior ha sbloccato la siesta, improvvisamente, su iniziativa di Rabiot e rimpalli generosi.

Ecco. Era il 56’. Max non credeva al suo fiuto. Secco e perentorio lo schioccar di dita verso i commensali: tutti indietro. Dai cambi ci ha guadagnato più lui che l’Ego di Bergamo, tanto che, quando ormai si pensava all’amaro, Chiesa suggeriva a Vlahovic il contropiede dello 0-2. Per la cronaca, e per la storia, il serbo se n’era mangiato un altro poco prima, complice Sportiello.

Va rivelato che da altre tavolate si sono levati rutti zingareschi nei confronti di Vlahovic. Il signor Dov’eri ha interrotto il servizio, ma pure ammonito il centravanti per eccesso di esultanza, così mi è parso di capire. Gravina, do you remember Lukaku? Ah, questi ristoranti all’aperto. Ah, questi avventori.

Di Szczesny ricordo una parata su Koopmeiners. Di Pasalic, un tiraccio da eccellente contorno. Tutto il resto, mancia. E una «ricevuta» che va messa in bacheca. A imperituri languorini.

I petardi di Milano

Roberto Beccantini6 May 2023

Nell’ambito delle cerimonie indette per il Coronation month di re Napoli III, i petardi della volata Champions servono a tenere svegli i sudditi (in)fedeli. C’era in ballo la seconda puntata della saga Milano-Roma. La prima, tra il 29 e il 30 aprile, era andata così: Roma-Milan 1-1, Inter-Lazio 3-1. Oggi, in compenso, è andata cosà: Milan-Lazio 2-0, Roma-Inter 0-2.

Il bel gioco mi strappa l’applauso. Certi gol mi strappano dalla sedia. Quello di Theo, per esempio. Da area ad area, cavaliere solitario, tra sentinelle oggettivamente distratte, ma pur sempre frutto di una scintilla improvvisa, di un egoismo che, zolla dopo zolla, diventa un’idea; e l’idea, un attentato ai sacri testi. L’equilibrio lo aveva spaccato Bennacer, complice la leggerezza di Marcos Antonio. Morale: Pioli, in vista dell’euro-derby di mercoledì, ha cancellato le rotazioni e le omissioni che l’avevano zavorrato contro la Cremonese. Unica ombra, l’infortunio di Leao. Tre sconfitte nelle ultime quattro partite, la Lazio è cotta. Occhio, comandante.

All’Olimpico, la locandina recitava Mourinho versus Inter. A suo modo, un conflitto di affetti, oltre che di interessi. Il Mou furioso e indecoroso di Monza, gli uomini contati e la sensazione di un addio a orologeria. Inzaghi in versione Aladino, turnover razionale e tutti sul pezzo. Un gol per tempo, come a San Siro: Dimarco, un terzino, su cross tagliente dell’altro terzino, Dumfries; Lukaku, su sgorbio di Ibanez, un guerriero che non molla mai ma, quando sbaglia, spalanca finestre, non fessure.

In vetrina, Matic e Brozovic. Un paio di parate di Onana, belle, una traversa del panchinaro Lau-Toro, gli spiccioli amari di Dybala. Un’impresa, per Maresca, non ammonire Calhanoglu. Per il resto, frizioni e tensioni in modica quantità. Domani, all’ora di pranzo, Atalanta-Juventus. Conosco il menu. Buon appetito.