Un punticino, caccia via

Roberto Beccantini30 April 2023

Nella domenica del Napoli interruptus (questione di giorni, comunque) e della rimontona che l’Inter ha inflitto a una Lazio catenacciara, Bologna e Juventus hanno pareggiato 1-1 al Dall’Ara. Veniva, Madama, da tre sconfitte (Lazio, Sassuolo, Napoli), più quella, ributtante, di coppa con l’Inter. Per l’Allegri-bis, inoltre, era la centesima formazione in cento partite. Coraggio pure.

E’ stata come una zingarata al Luna park, orientata da due rigori «varisti»: Danilo su Orsolini (che, a monte, si era liberato con una spintarella di Alex Sandro), trasformato da Orsolini; Lucumi su Milik, parato da Skorupski a Milik (rincorsa col saltello). Parato? Bloccato, letteralmente. Il video a bordocampo non funzionava, così l’arbitro, Sozza, si è fidato di Mazzoleni-avesse-detto.

La non-notizia è che il Bologna di Thiago Motta graffia anche quando non morde. La notizia, invece, è che la Juventus ha tirato. E ha segnato con il centravanti. E se ha rischiato di perdere, è perché ha cercato di vincere. Bum.

Max è ormai come il generale Custer al Little Bighorn. Crivellato di frecce, a parecchie delle quali, però, ha offerto il petto. Bravo nel cambio Kostic-Iling, molto meno nella staffetta Chiesa-Miretti. Un centrocampista per un attaccante. Thiago, lui, dentro Zirkzee e fuori Dominguez: un attaccante per un centrocampista. Il contrario.

Nel primo tempo, meglio la Juventus. E grande Skorupski (due volte su Fagioli, soprattutto; penalty a parte). Nel secondo, meglio il Bologna. E reattivo Szczesny. Non sono mancate le occasioni, da Iling a Soulé, da Zirkzee ad Aebischer. Ma dal momento che il calcio se ne frega dei sofismi, il pareggio Milik l’aveva estratto, di drop sinistro, proprio dal bidone della ripresa.

Mi sono piaciuti Barrow, Moro, Cambiaso e Locatelli. Non c’era Di Maria (caviglia canaglia), Chiesa non ha gradito il cambio. Resta il punticino nel buio pesto del periodo. Ci vorrebbe un leader. Non importa dove. In società, possibilmente. Almeno uno. L’allenatore ha bisogno di aiuto.

Al fotofinish

Roberto Beccantini23 April 2023

Il risultato è esploso in coda come una zuffa nel Bronx, dopo che per oltre 90’ si era nascosto, infìdo, tra i vicoli di un rustico equilibrio. La rete di Di Maria, concessa e poi annullata da un amletico Fabbri via Var per fallo, a monte, di Milik su Lobotka. Anatomia di un istante, scriverebbe Javier Cercas. Mi ha ricordato il contatto Leao-Lozano in Champions: da rigore, per me. Il gol del Raspadori dimenticato, su cross di Elmas servito da Zielinski. Tre panchinari, tutti cruciali. E’ una chiave di lettura. Un’altra è che il Napoli, senza scomodare il 5-1 dell’andata, è più squadra anche se il pari, ormai, sembrava nell’aria: ma non, evidentemente, nell’area. Almeno in una.

E così, se sabato il Napoli batte la Salernitana, lo scudetto potrebbe arrivare già domenica all’ora di pranzo: a patto che la Lazio non vinca con l’Inter a San Siro. Alla lettura delle formazioni, con Soulé, Miretti e Rugani su Osimhen, mi aspettavo una Juventus leggera. Invece no. Ha giocato come sa, subito in avanti (e subito un tiro di Cuadrado, respinto da Meret), poi il canonico arretramento a presidio dei valichi, con Ndombele, Anguissa, Lobotka, Di Lorenzo a guadagnare metri, ad accendere falò. E Kvara? Atteso da Cuadrado, raddoppiato da altri doganieri. Se il giallo a Locatelli, il più lucido del branco, era eccessivo, il «niente» a Gatti per una sbracciata a Kvaratskhelia sapeva di «grazia», tanto per usare un termine di gran moda.

Episodi. Centimetri: quelli che smascherano il cross di Chiesa, dal fondo, per il tap-in di Vlahovic-chi? Il sale del calcio. Ma anche Osimhen che ferma il gioco con Soulé a terra: applausi. La sconfitta dei Sarristi aveva liberato la testa del Napoli dai fantasmi dell’euroMilan. E la Juventus? Ha lottato, ha lasciato tiri al totem africano solo dopo un’ora, non prima: e nel convulso finale, che parata Szczesny.
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Milano, Europa. Come una volta

Roberto Beccantini19 April 2023

Real Madrid-Manchester City, Milan-Inter: ecco a voi le semifinali di Champions. La novità è Milano: avvicenda Liverpool e Villarreal. Il derby fu la semifinale di 20 anni fa, quando i gol in trasferta, a parità di reti, valevano ancora doppio. Passò il Diavolo, con due pareggi: 0-0, 1-1. Diavolo che, a Old Trafford, avrebbe poi battuto Madama ai rigori.

Mancava l’Inter, all’appello. Il 2-0 di Lisbona la collocava in una botte di ferro. Così è stato, al di là di un 3-3 che, per paradosso, ha legato 80’ di Inter europea – sempre sul pezzo, attenta, incisiva – a 10’ della «solita» Inter domestica: distratta, sazia, ondivaga. Ma ormai i giochi erano fatti.

E allora: Inzaghi su, Schmidt giù. Da gioiosa macchina di guerra (fino agli ottavi) a noiosissimo torpedone di pace. Non credo che la cessione invernale di Enzo Fernandez basti a giustificare un rovescio talmente drastico. L’Inter ci ha messo del suo, ça va sans dire. Hombre del partido, Barella. Un gol al Da Luz, uno a San Siro: il primo, molto bello, dopo uno-due con Lautaro. Quindi l’argentino, su fuga e toccata di Dimarco, e addirittura Correa, il bagaglio smarrito chissà dove. Controllo-arresto-giro.

I portoghesi avevano trovato l’uno pari con una incornata di Aursnes, in una delle rare briciole raccolte sotto il tavolo della trama. Nella ripresa, gegenpressing e via andare. Sul 3-1, liberi tutti: così si spiegano il palo di Neres, le reti di Antonio Silva e Musa. Resta il traguardo: prestigioso. E i derby, ancora due. Saranno cinque, a fine stagione, con ingorghi da Superlega. Bilancio: 3-2 Milan e 1-0 Inter in campionato; 3-0 Inter, a Riad, in Supercoppa.
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