Ma allora, questo campionato…

Roberto Beccantini14 March 2023

Dopo il Milan, l’Inter. E se il Napoli non si suicida con l’Enitracht, saranno tre. Tre italiane nei quarti di Champions. Sursum corda, chioserebbe Lotitus. Come se al nostro campionato, d’improvviso, qualcuno avesse ordinato: «Alzati e cammina». E naturalmente: oh risultato! mio risultato!

Dal Diavolo di Pioli, 1-0 e 0-0 con il Tottenham, ai guerrieri di Inzaghi, 1-0 e 0-0 con il Porto. Il problema, per le edicole e i tribunali del web, era Simone: e adesso? Genio al Camp Nou, con il Napoli e nei derby d’inverno, pirla in provincia, di nuovo genietto, immagino, al «do Dragao». Con quel po’ di sedere (tra «parata» di Dumfries e pali) che eccita i tifosi e sgonfia i cacasenni. Conosco i miei polli: l’ultima spiaggia sarà la prossima. Anche perché i giocatori, anime belle, raramente rischiano la corte marziale. Beati loro.

Non certo un poema di Omero, la partita. Noiosa per lunghi tratti, sino alla riffa conclusiva, dove nulla è successo ma molto sarebbe potuto succedere. L’Inter ha retto di squadra, tradita da Dzeko, Lautaro e Barella, soffrendo e ringhiando attorno a Onana, Darmian, Calhanoglu e Mkhitaryan: per me, i migliori. Il cuore oltre l’ostacolo, avrebbero titolato nell’Ottocento. Scandita, in avvio, da un equilibrio che attaccanti più scaltri avrebbero dovuto padroneggiare meglio, la trama si è poi data a sequenze da vecchia Inter, tutti indietro appassionatamente. C’è stato un calo fisico, anche. Troppo tardi, Taremi e Galeno si sono buttati sotto. Solo da una emergenza così palpitante poteva scaturire, nell’Inter, una simile volontà: la volontà come destino, per avere ragione del destino (da Jack London, più o meno). E comunque, a Porto, erano caduti la Juventus di Cristiano e il Milan.

** Manchester City-Lipsia 7-0. «Manita» di Haaland più Gundogan e De Bruyne. Dal centravanti-spazio al centravanti-ciccia: mica fesso, mastro Pep.

Sulla carta

Roberto Beccantini12 March 2023

Nel campionato degli «sfrattati dal Napoli», quello che resta della Juventus ha sconfitto per 4-2 quello che resta della Sampdoria, ultima della classe con la Cremonese. Il risultato è lo stesso del derby. I migliori sono stati Rabiot, Fagioli, Kostic e, per un tempo, Djuricic. Nonno Bonucci, viceversa, tanto ha dato ma temo che sia arrivato il momento. Bebè di qua, bebè di là: Allegri aveva sbagliato formazione, penso al Bonucci di cui sopra e a Barranechea (2001), sedotto e abbandonato (per la seconda volta). Meglio la versione con Cuadrado e Locatelli.

Stankovic vive di gioco, per fatuo che sia; Max, di giocate; e se manca l’Angelo custode, è facile che cada in tentazione. Neppure due gol di vantaggio, entrambi di testa – di Bremer, su angolo di Kostic; di Rabiot, su cross di Miretti – avevano offerto alla Signorinella argomenti validi per non farsi borseggiare. In 25 partite, il Doria aveva raccolto la miseria di 11 gol. Nel giro di sessanta secondi, o giù di lì, ne ha realizzati due, addirittura. Con Augello, dopo blitz di Leris, e con Djuricic, dopo volatona di Zanoli, scuola Napoli.

Le ruggini d’Europa, come no. I problemi legati, sulla carta, alla carta. Tutto quello che volete: ma di fronte, con tutto il rispetto, non c’era il Real. E Gabbiadini, per la cronaca, avrebbe potuto spaccare l’equilibrio già al 7’. I cambi hanno agitato la ripresa e orientato l’esito. Rabiot si è ripetuto, di lecca (e di braccio? Moviolisti di tutto il mondo, a voi). E poi agli sgoccioli, con gli avversari sfiniti, Soulé (2003). E Vlahovic? Ha tirato sul palo il rigorino procurato da Cuadrado e stampato sulla traversa – complice il carpiato di Turk, portiere sloveno di 19 anni, un po’ ingessato in avvio – la sgrullata dal cui rimbalzo sarebbe nato l’ultimo squillo. E’ un periodo così. Poco servito e poco «tecnico» nel controllare e smistare le briciole che gli arrivavano o rastrellava. Notizie di Pogba? Un indurimentino. Et voilà.

Undici belve

Roberto Beccantini11 March 2023

Come se undici belve avessero spinto il domatore fuori dalla gabbia e preso possesso del circo. Ecco a voi il Napoli contro l’Atalanta. La Dea che, ai tempi del Papu e di Ilicic, giocava più o meno così. Con un’aggressione ai limiti della circonvenzione di capaci. E a un ritmo indiavolato, quello della giustizia sportiva quando vuole.

Te la do io la calcolatrice. Il destino si è consumato dopo un’orgia di arrembaggi. Palla strappata a Ederson e servita a Osimhen, in profondità. Da Victor a Kvara, con mezza difesa in libera uscita. Occhio, allora. Come a Reggio Emilia, contro il Sassuolo, il georgiano ha preso le lavagne e le ha appese non vi dico dove. Un dribbling, un altro, un altro ancora. Non più in verticale, come al Mapei: in orizzontale, questa volta. E poi bum, di destro. Ciao Mare, ciao Musso, ciao todos.

Spalletti e Gasp sono allenatori che insegnano e non si offendono se il singolo li scavalca. E’ il segreto del calcio: del calcio, almeno, che nasce brullo nelle strade e tale non sempre resta, perché i cultori dell’oppio – e dell’ovvio – si vendono allo Schema e lo innalzano a dogma assoluto. L’eccesso opposto di coloro che, viceversa, vanno al casinò e puntano tutto sul singolo.

La velocità di crociera non è mai scesa, e alla distanza qualcosina hanno combinato persino Muriel e c. Solo qualcosina, però. Il polpaccio di Kim è stato l’unico ululato di sirena, subito cancellato dalla sgrullata di Rrahmani, lui sì migliorato dalle novelle del Certaldese. Con la Lazio di Sarri, fatale era stato un episodio. Il 2-0 all’Atalanta ha ribadito la supremazia della trama, la dittatura dell’orchestra. Scudetto in pugno, quarti di Champions in tasca (mercoledì, l’Eintracht da 2-0): e uno stadio che canta sempre. Può bastare, per ora.